“Dicono che ho un portamento nobile perché gioco sempre con la testa alta. Guardo. Guardo oltre. Me lo hanno insegnato da bambino. Non fermarti a quello che accade attorno a te. Spazia. Prevedi. Non avere paura. No, non ho paura. Neanche stavolta”. Parte con la descrizione del grande Gaetano Scirea, ma è una descrizione che calzerebbe a pennello al vero protagonista del libro del giornalista Francesco De Core, Enzo Bearzot.
‘Mondiali 1982, la rivincita. Dalla Polvere alla Gloria: il trionfo dell’Italia’, edito da Diarkos ci narra una versione diversa della scontata e romanzata vittoria della nostra Nazionale. È un racconto minuzioso, fatto di particolari sconosciuti e di piccole battaglie quotidiane e a volte personali portate avanti dal CT, il friulano solitario e scontroso che intuì come far ripartire una squadra piena di potenziale ma ‘ferma’.
La vittoria in Spagna nell’82 è solo l’epilogo di un lungo lavoro, tutto parte dall’Argentina del 78, dove Bearzot comincia ad avere alcune buone intuizioni future.
“In un Paese dilaniato dalla dittatura, dove le madri di Plaza de Mayo non sono ancora le nostre madri, partiti da un’Italia traumatizzata dall’assassinio di Moro sotto un cielo di piombo e di sangue, i ragazzi di Bearzot capovolgono l’immagine che abbiamo, salda e radicata, nel mondo. Per proiettarla ben oltre la chiusura degli anni settanta, aperti da una finale mondiale contro il Brasile di Pelè, a Messico City, e dall’epopea di Italia Germania 4-3; l’82 di Spagna è una parabola che prende quota da lì, dall’altra parte dell’emisfero, dove si tirano e si raccontano i rigori più lunghi della storia (Osvaldo Soriano)e i campioni poveri con i ricci neri e un piede solo, pur magico già bussano alla porta della gloria (Diego Armando Maradona)”. (pag. 25).
Sarà Buenos Aires a forgiare il ‘vecio’ ma saranno gli europei a insegnargli la buona strada. “Bearzot li ha studiati per bene, i polacchi. Ne ha sempre apprezzato il modo di vivere il calcio, di rielaborarlo. Una terza via tra l’ortodossia tattica praticata nell’est europeo e l’innovazione olandese”. (pag.75).
A frenare i mondiali dell’82 e le punte di diamante scovate dal Vecio lo scandalo del Calcioscommesse che riguarderà proprio Paolo Rossi che fino all’ultimo rischierà di restare in Italia o di fare flop dopo un anno di ‘fermo’.
“Bearzot trattato come un minorato ottuso, un animale da zoo, dagli urlatori seriali del processo del lunedì, Paolo Rossi che non sa più segnare, un nome anonimo che si perde ripetuto fino alla noia nell’elenco del telefono, juventino per giunta, sarà persino inutile scendere in campo contro il Brasile, squadrone che ci mangerà” (pag. 290)
Eppure l’Italia e Bearzot porterà in Spagna tutti i suoi ragazzi e la conferma che si era ormai vicini alla vittoria del finale si ha con il 3 a 2 di Italia Brasile, il grande agognato sorpasso da sempre auspicato dalla nostra Nazionale e che ci vede tutt’ora con un complesso di inferiorità.
“Lo scrive persino il futuro premio nobel per la letteratura, il peruviano Mario Vargas Llosa, inviato per ‘Abc’: “Sarà una festa da ricordare, della quale ancora parleranno quando saranno trascorsi molti anni e i suoi principali protagonisti saranno ormai solo nomi legati alla mitologia del calcio”. (pag.204).
La vittoria della finale però vede da un parte ‘il vecio’ che si esilia, senza ripicche, ne festeggiamenti. Dall’altro arriva il mea culpa (in ritardo) della Stampa che aveva vessato l’allenatore per tutto il tempo e che ora è costretta a ricredersi. “La passerella è dei calciatori. Da brocchi a eroi. Rompono il silenzio, non c’è più bisogno di compattarsi. Hanno compiuto l’impresa della vita. Spiegheranno la metamorfosi”. (pag. 279).
Bearzot impara con quei mondiali la grande lezione di Giovanni Arpino ‘non badare ai nemici’, “La nostra solitudine è la nostra libertà. La nostra solitudine è la nostra gioia” (pag.18).
Ma in realtà la vera lezione Bearzot la impartisce a un’intera nazione che gli aveva remato contro fino ad aspettarlo ‘solo’ per insultarlo, ma nonostante la sua solitudine non dimentica mai di ricordare ai suoi ragazzi che sono una squadra, che sono una cosa sola e che insieme ce la faranno.
“Può darsi che vi riempiano di lividi, ma prima devono prendervi” (pag. 247).

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