Recensione del libro “Moser e Saronni. Il duello infinito” di Beppe Conti su Pagine di Sport
3 Dicembre 2020

RECENSIONE DI A.C.

Gino Bartali e Fausto Coppi che si passano la borraccia. È una foto storica del ciclismo, sulla quale si è discusso a lungo: è Bartali che la passa a Coppi o viceversa? Mi è venuta in mente questa foto, e questa discussione, leggendo il bel libro di Beppe Conti «Moser e Saronni. Il duello infinito» (Diarkos editore). Mi è venuta in mente per una ragione semplicissima: tra Francesco Moser e Beppe Saronni quello scambio di borraccia non c’è mai stato e non ci sarebbe mai potuto essere. Rivalità infinita tra i due. Sempre e comunque. Con pochissimi momenti di pausa. A San Cristobal, in Venezuela, nel 1977, ad esempio, quando Moser vinse il titolo mondiale su strada e Saronni lo aiutò lealmente. Favore restituito nel 1982, a Goodwood, in Inghilterra, quando fu Saronni a conquistare la maglia iridata. Tregua tra i due anche nel 1979, al Campionato di Zurigo, vinto da Saronni proprio su Moser, e persino alleanza, in quello stesso anno, quando i due alfieri del ciclismo italiano disputarono in coppia il Trofeo Baracchi e ovviamente lo vinsero. Ma sono momenti eccezionali. Per il resto, sempre uno contro l’altro. Un duello fatto di dispetti in corsa, anche a costo di far vincere altri corridori, di dichiarazioni ostili, espresse talvolta in punta di fioretto, ma più spesso a colpi di spada e di scimitarra. «Noi due andiamo d’accordo solo quando parliamo di calcio. Siamo tutti due tifosi dell’Inter» ha sintetizzato Moser. Un duello verbale che neppure ora, a tanti anni dalla fine dell’attività agonistica, ha trovato una sua composizione. Moser contro Saronni e Saronni contro Moser. Due mondi, due personalità inconciliabili, due modi di intendere il ciclismo e la vita. E però due campioni assoluti, capaci di entusiasmare per le loro gesta, per le imprese sportive che hanno fatto grande il ciclismo italiano. Ma capaci anche, inevitabilmente, di dividere il mondo dei tifosi. Come Bartali e Coppi. Più di Bartali e Coppi.

Beppe Conti il ciclismo lo conosce bene. L’ha praticato da giovane, anche con buoni risultati. L’ha seguito, indagato e raccontato per anni come cronista curioso e attento, in particolare su Tuttosport. Sa tutto del ciclismo e dei ciclisti. Basta sentire i suoi commenti alla televisione di Stato durante le grandi corse per apprezzarne la competenza. Questo suo ultimo libro riguarda dichiaratamente il «duello infinito» tra Moser e Saronni, sviscerato e raccontato con dovizia di particolari da uno che a quel duello ha assistito e talvolta lo ha persino stimolato e provocato con i suoi interventi e qualche interessante scoop. Ma questo è solo il filo conduttore. In realtà il libro di Beppe Conti è molto di più: è il romanzo del ciclismo italiano dall’inizio degli anni settanta del Novecento alla fine degli anni ottanta. Un periodo molto ricco ed entusiasmante per il ciclismo italiano e, direi, per il ciclismo mondiale. È il periodo che va dalle ultime gare di Felice Gimondi e Eddy Merckx sino all’apparire di Gianni Bugno e Miguel Indurain. Moser e Saronni sono certamente i grandi protagonisti tra i corridori italiani e l’autore si dilunga a narrarne le imprese, oltre che i litigi, ma accanto a loro nel romanzo di Beppe Conti compaiono tanti altri campioni italiani: da Battaglin a Baronchelli, da Gavazzi a Visentini, da Contini a Panizza, da Beccia ad Argentin e Bontempi, per finire con Maria Canins nel ciclismo femminile. E poi ci sono i grandi campioni stranieri: De Vlaeminck e Maertens, Zoetemelk e Raas, Fignon e Hinault, per citarne qualcuno. «Che tempi, ripensandoci adesso. Che grande ciclismo si viveva in quei giorni» sintetizza Beppe Conti riferendosi soprattutto al ciclismo italiano, in quel ventennio ricco di campioni e di squadre costruite in Italia, oggi purtroppo povero di squadre e, quel che è peggio, povero di campioni.

Un bel romanzo, insomma, che però non parla solo di ciclismo, perché Beppe Conti, con pregevole leggerezza e grande precisione, inserisce la vicenda ciclistica nella cornice più ampia della storia sportiva e civile del tempo. Ricorda i successi di altri campioni e di altri sport: il nuoto e l’atletica, lo sci e l’alpinismo, il pugilato e la canoa; e il calcio, ovviamente, con particolare attenzione al titolo mondiale del 1982 e più ancora alle sfide tra il suo amato Toro e la Juve. Interessanti alcune riflessioni sul mestiere del giornalista e, in particolare, dell’inviato sportivo, con riferimenti alla storia professionale dell’autore. Non manca il ricordo di tanti personaggi famosi, non solo dello sport, scomparsi in quel ventennio. Completano la cornice i tanti lutti che hanno colpito l’Italia in quegli anni: disastri naturali, come il terremoto dell’Irpina, ma soprattutto le vittime della mafia e del terrorismo. Non sono divagazioni superflue, quelle di Beppe Conti. Lo sport non è mai staccato dalla società. Men che meno il ciclismo. Gli altri sport, quasi tutti, si svolgono in luoghi appartati: stadi, piscine, palazzetti, palestre. Il ciclismo no. Il ciclismo sfiora le case, attraversa le pianure, si inerpica sulle montagne, arriva nelle piazze delle città. In questo senso, è il più vicino degli sport. Giusto inserirlo nella cornice della cronaca quotidiana.

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