Luigi Gualdi, il Papillon della Valseriana Una vita bruciata tra la Provenza e la Caienna raccontata da Gabriele Moroni su Giornale Metropolitano
1 Luglio 2021

Luigi Gualdi  morì di malaria nel giugno 1928, a 23 anni:  nonostante  un fisico robusto, ha resistito  solo poco più di un anno ai  lavori forzati nella Caienna  francese cui era stato condannato a vita per un delitto durante una tentata rapina –  a sparare non era stato lui ma il complice -, e una lunga serie di  altri reati commessi in Provenza dove era emigrato in cerca di lavoro. E  con la terza elementare non avrebbe mai potuto comunque scrivere, se graziato,  la propria biografia come il “vero” Papillon che con sulle spalle  13 anni di quell’inferno, una volta ottenuta avventurosamente la libertà,  ha anche ispirato  film di successo.

Bergamasco di Vertova, Alta Valseriana, famiglia di poveri contadini, Luigi sarebbe così rimasto una delle migliaia di vittime di quelle condizioni di vita  impossibili imposte nella colonia penale  sperduta nell’Atlantico (denutrizione, igiene inesistente, lavori sfiancanti, punizioni severissime, malaria, lebbra, malattie tropicali …)  dove si deportavano delinquenti pericolosi e individui sospetti  (c’era già passato Dreyfus, quello dell’ “affaire”) .

E’ stato il nipote Mario Gualdi, sentendone parlare in casa, a voler dare un volto a quello zio e cercare di ricostruire la sua  esistenza bruciata nel giro di pochi giorni nelle campagne francesi al seguito di un bandito professionista, André Gauthier, “Dedé”, il killer, conosciuto in carcere. Cosi, dopo molte ricerche d’archivio Oltralpe  ora esce per Diarkos “Luigi Gualdi, il Papillon Italiano- Un viaggio infernale dalla Bergamasca alla Caienna” (pagg.152, euro 16) scritto da Mario in collaborazione con il giornalista del “Giorno” Gabriele Moroni e la prefazione del presidente dell’Ordine lombardo giornalisti Alessandro Galimberti.

Il primo passo falso, il furto di una bici, lo tuffa subito nella  perversa spirale di furti, rapine, sparatorie, fughe, culminata  con l’assassinio dell’agricoltore Albert Izoard nella cui fattoria i due erano entrati armati.  A scoprirli  e farli arrestare, dopo l’ennesima sparatoria, Gaston Dominici, un personaggio finito anche lui, molti anni più tardi, al centro di un clamoroso episodio di cronaca nera.

Per Luigi e Dedé la corte aveva sentenziato la ghigliottina, condanna poi commutata nei lavori forzati a vita nella colonia penale. Tre settimane sulla nave-ergastolo con centinaia di altri detenuti  chiusi in gabbie d’acciaio e l’approdo alla Caienna. Per far passare ai detenuti la voglia di tentare la fuga il comandante della prigione li accoglie così: “…abbiamo due guardiani: la giungla e il mare. Se non verrete mangiati dagli squali o le vostre ossa non verranno ripulite dalle formiche, pregherete presto di riuscire a tornare qui“. Dedé ci tenta lo stesso uccidendo una guardia e tentando di ammazzare anche il comandante e verrà ghigliottinato davanti a tutti. Luigi, classificato  “irrecuperabile” e quindi sottoposto ai trattamenti più duri – celle come sepolcri, lavori pesantissimi nella foresta popolata di belve, alimenti ridotti al minimo: tutto accuratamente raccontato in queste pagine –  si sottomette ma si prende la malaria e in tre mesi muore.

A Vertova del Papillon della Valseriana giungono pochissime notizie, una sua breve lettera ai genitori e ai dieci fratelli  finché arriva la comunicazione del decesso con un anno e mezzo di ritardo.  La storia di Luigi riemersa dall’anonimato grazie al nipote Mario e al giornalista Moroni non è stata possibile corredarla nemmeno da una foto. Ma sembra la sceneggiatura di un film.

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