Alberto Galimberti racconta Alessandro Del Piero: un campione infinito. - Napoli Magazine
5 Luglio 2022

Alberto Galimberti, Il giornalista e docente comasco ritrae in un libro tributo l’ex numero 10 juventino (pubblicato da Diarkos, con la prefazione di Bruno Pizzul)

Professionista esemplare, capitano fedele alla maglia e calciatore simbolo per una generazione di tifosi e appassionati.

Torino. 13 maggio 2012. Juventus-Atalanta. Dopo 19 anni di onorata militanza, Alessandro Del Piero lascia la Juventus. Gioca, segna e saluta. Incomincia da questo commosso commiato della bandiera bianconera al suo popolo, il libro di Alberto Galimberti, giovane giornalista e docente comasco. CalcioStyle.it  l’ha intervistato.

«A dieci anni di distanza ho pensato di tornare lì, sul luogo dove l’addio addio si è consumato, la bellezza del calcio si è svelata, il senso nobile dello sport sublimato, per raccontare le gesta di Alex Del Piero», esordisce Galimberti.

Perché ha deciso di partire dalla fine?

«Al passo d’addio, lo Stadium tributa un meraviglioso omaggio alla propria bandiera. Alla standing ovation decollata dagli spalti al momento della sostituzione, infatti, segue uno struggente giro di campo a partita ancora in corso, un vero e proprio giro d’onore, unico nel suo genere. L’evento marca uno spartiacque: non è mai accaduto in passato, né mai accadrà in futuro. Spontaneamente nasce e altrettanto spontaneamente muore. Dire addio, del resto, è l’arte più difficile da esercitare a qualsiasi latitudine della vita. Non si impara mai definitivamente, non si è mai del tutto pronti».

Ricordiamolo. La Juventus quel giorno celebra la conquista dello scudetto, prepara il cerimoniale ma non è previsto un momento cucito su misura per l’addio di Alex…

Esatto. Ha colto nel segno. L’addio non è concordato. Non sono allestite grandiose scenografie né consegnate luccicanti targhe commemorative.

Il contratto, firmato in bianco da Alessandro, è in scadenza. Le strade della società e del giocatore si dividono, bruscamente. Andrea Agnelli è risoluto. I tifosi sono gli unici a tenere accesa la flebile speranza di un rinnovo last minute. Al principio di quel pomeriggio, incorniciato in una domenica pomeriggio di festa, intonano il coro “Un-altro-anno-Del Piero”, in coda “Grazie di tutto, Del Piero Grazie di Tutto”. Così va in scena l’ultimo atto di Alex: nel giro di campo, in barba al regolamento, largamente in anticipo sul triplice fischio finale, il campione e i supporter scambiano parole definitive: il primo con sguardi e silenzi, i secondi fra urla e lacrime. Riconoscenza e rimpianto sono sentimenti palpabili.

Tramite alcuni episodi susseguitesi in questa gara, che nulla chiede alla classifica, è possibile riavvolgere il nastro della vicenda umana e calcistica di Pinturicchio, passando in rassegna gli snodi cruciali.

Dal punto di vista tecnico, quale tipo di calciatore è stato “Pinturicchio”?

L’attaccante veneto si può annoverare nella cerchia ristretta dei grandi numeri 10, ha un posto d’onore in questa categoria. Tuttavia, non è stato un numero 10 letterario, romanzesco; ossia flemmatico e indolente: tutto tocchi di fino, allergico al sacrificio, genio con il pallone e anarchico senza.  Al contrario, è stato un numero 10 completo, abile a coniugare tradizione e modernità. Alla classe sopraffina ha accompagnato la caparbietà agonistica, al talento il temperamento, alla fantasia nel dribbling la ferocia nella corsa, alla pulizia tecnica la potenza atletica.

 

Nel libro ripercorre l’intera carriera del capitano juventino scandita da sfavillanti successi e sonore sconfitte, cadute repentine e insperate rinascite.

Dagli esordi con il Padova all’approdo alla Juventus, dalla conquista della Coppa Intercontinentale al grave infortunio patito a Udine, dal varo del tiro “alla Del Piero” alle lacrime di Bari per la scomparsa del padre, dalla magica notte di Berlino alla retrocessione in serie B con le insegne da campione del Mondo.

Un viaggio fra gioie e dolori, errori pesanti e panchine umilianti riscattate da reti decisive e prestazioni monumentali. Risiede forse qui la ragione di quell’impegnativo attributo “infinito”?

Del Piero ha vissuto tutte le stagioni della vita. Perciò qualsiasi tifoso può riconoscersi nella sua storia: se non in tutta quanta, almeno in una delle possibili istantanee, sequenze. Oltre alle conclamate abilità tecniche – piedi educati, dribbling assassino, colpi balistici micidiali – ha mostrato di avere doti temperamentali altrettanto importanti: serenità e maturità, carisma e leadership. È un campione a tutto tondo, “infinito”, proprio perché ha saputo risalire la china, superando i periodi più cupi della carriera – forgiato dal travaglio, temprato dalla vita – riportando in auge la Juventus e la propria stella a brillare nel firmamento del calcio internazionale, dopo che, di colpo, si era eclissata.

Inserisce l’attaccante veneto nella categoria dei giocatori-bandiera, in via di sparizione. Soffre, per caso, di nostalgia?

Passione direi, più che nostalgia. Passione e ammirazione per quei giocatori che sono rimasti devoti alla maglia in un calcio post-secolarizzato; bandiere in un mondo affollato da mercenari. Seppur in misura minore, nel libro pongo l’accento anche sulle straordinarie carriere e sugli emozionanti addii di Paolo Maldini, Javier Zanetti e Francesco Totti: capitani rimpianti e calciatori stimati trasversalmente dai tifosi al pari di “Pinturicchio”.

Un’ultima domanda: il merito più grande di Alex?

Campione esemplare, capitano fedele, calciatore irreprensibile, Del Piero ha tramutato le reti in primati, i numeri in record, ma soprattutto ha saputo stringere un legame speciale con i tifosi. Merito che vale più della vincita di coppe e campionati, procede oltre la conquista di trofei e titoli.

Come scrive mirabilmente Bruno Pizzul nella prefazione, Alex è stato capace di promuovere i fondamentali valori educativi dello sport, troppo spesso disattesi nel mondo confuso e discutibile del calcio moderno.

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