RECENSIONE: Pompei. L’eco di un tempo lontano di Giuseppe Cusano
2 Gennaio 2023

Diarkos, 2022 – Un saggio imperdibile alla portata di tutti, che parte dalla fondazione della città sepolta dal Vesuvio nel 79, per rievocare il dramma, in che modo si morì o sopravvisse in quei giorni e com’è stata ritrovata secoli dopo.

Pompei non è stata cancellata dall’eruzione del Vesuvio il 24 agosto del 79 dopo Cristo, è avvenuto più tardi, qualche mese dopo, in autunno. I ritrovamenti hanno rivelato che nelle case erano attivi i sistemi di riscaldamento di allora. È una delle non poche novità che si ricavano dalla lettura di un saggio agevole, alla portata di tutti, nuovo e in parte rivoluzionario. Pompei. L’eco di un tempo lontano è opera di un archeologo romano, Giuseppe Cusano, per le edizioni Diarkos di Santarcangelo di Romagna (settembre 2020, 312 pagine).

Fino al 2018, nessuno ha messo in discussione che il Vesuvio avesse eruttato in piena estate, anche se l’ipotesi autunnale era già nota, per diverse considerazioni. Si era tra l’altro osservato che molte vittime indossavano indumenti troppo pesanti. In molte case, ardevano bracieri e molti resti di cibo rinvenuti nelle campagne di scavo farebbero pensare a vendemmia conclusa e raccolti effettuati ben oltre il 24 agosto. Ma il dato incontrovertibile è scaturito nel 2018, dal ritrovamento di un’iscrizione incompleta sulla parete di un atrio della Casa del Giardino: ...in olearia prema sumserunt..., ossia, sedici giorni prima delle calende di novembre nella dispensa olearia hanno preso...
Ancora il 17 ottobre, secondo il calendario romano, a Pompei si scriveva sui muri e non certo sotto oltre tre metri di cenere. Questo rende “a dir poco plausibile, se non vogliamo dire certa”, la data del 24 ottobre del 79 d.C..

Grazie a Cusano, possiamo osservare a distanza l’immane eruzione, annunciata nei giorni precedenti da scosse telluriche sempre più forti e frequenti. Da Miseno, all’estremità settentrionale del golfo di Partenope, il comandante della flotta imperiale Plinio il Vecchio osserva l’immensa nube che si solleva dal vulcano, fino a riempire il cielo a oriente. L’ammiraglio è anche un grande naturalista e niente lo può trattenere dall’avvicinarsi a bordo di una delle sue navi, per condurre osservazioni scientifiche sull’immane evento. Al momento, solo i crolli provocati dai terremoti arrecano danni, perché la colonna piroclastica di gas, lapilli e ceneri continua a sollevarsi in verticale, formando un gigantesco pino marittimo di 25 km, sormontato da una chioma sempre più larga.
In basso, cominciano a essere rilasciate pietre e polveri di pomice, tanto da mettere in difficoltà l’opera di soccorso della flotta, giunta a salvare i fuggiaschi sulla costa. L’aria è grigia, non c’è luce sotto la chioma che si estende in alto per un diametro di diversi chilometri. Le ceneri ora cadono sempre più intensamente. Alle 20 si sono ammassate fino ai secondi piani delle case. I tetti di Pompei, Stabia e Oplonti cedono sotto il peso.

Verso mezzanotte, la colonna piroclastica collassa, rovesciando fumi, gas venefici, fango e polveri ardenti sulla popolazione che non ha fatto in tempo a fuggire o a farsi prelevare delle navi. Nelle prime ore del mattino, un’ondata di materiale piroclastico vesuviano, che supera in altezza i rilievi della zona, seppellisce vite e ogni cosa in appena 17 minuti.
Due soli bastano a uccidere i sopravvissuti. Centoventi secondi di un’agonia terribile. Ceneri sottili e gas fuoriusciti dal vulcano ad 850° penetrano in città ad almeno 115°, raffreddati dal contatto con l’aria e il suolo lungo la corsa di venti chilometri verso Pompei. Una temperatura che non uccide all’istante, ma ustiona dolorosamente. È l’asfissia a far perire gli ultimi pompeiani, costretti a inalare veleno bollente negli ultimi, lunghissimi, atroci spasimi. Lana, cotone vesti non bruciano e nemmeno i corpi. La violenza dell’ondata non è tanto forte da spezzare le ossa, che restano integre, come i muri e le pareti.
I corpi giacciono intatti sulla cenere, tre metri sopra i marciapiedi, per poi essere sepolti sotto ventitré centimetri della stessa polvere bollente entrata nei polmoni e che più lontano asfissia Plinio, facendolo spirare sulla spiaggia di Stabia.

Le tre città sepolte vengono abbandonate. Impossibile mettersi a scavare. L’imperatore Tito dimentica quei territori. Si deve attendere addirittura la metà del 1700 per la scoperta, gli scavi e i ritrovamenti sotto venti metri di terra.
Da allora, Pompei racconta storie infinite. Ogni domus, ogni calco, tutti gli oggetti estratti parlano di un luogo che regala un patrimonio incommensurabile, in continua crescita, in gran parte ancora nascosto nei ventidue ettari inesplorati (un terzo dell’estensione totale). Un laboratorio mondiale di vulcanologia, sismologia, di studio del mondo antico. Una fonte d’ispirazione culturale e artistica. Fin dai primi scavi settecenteschi, la curiosità di sapere come si svolgesse la vita quotidiana ha stimolato la fantasia dei visitatori.

Il saggio di Cusano parte dalla fondazione della città sepolta dal Vesuvio nel 79, per mettersi poi sulle tracce degli ultimi abitanti e dedicare il secondo capitolo alla Pompei del dramma. Nel terzo, ha voluto ricostruire, sulla base delle fonti antiche, dei dati archeologici e di recenti studi scientifici, “cosa avvenne, come si morì e come si sopravvisse quel giorno”.

La parte finale fa luce sulla “riconsegna del luogo all’umanità”, una storia che ha inizio con i primi scavi del 1748 e va avanti fino a oggi.

Più di due secoli e mezzo di una fascinazione che travolge chi scopre chi racconta, chi raffigura e i milioni di visitatori che ogni anno arrivano da tutto il mondo per varcare le sue mura”.

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