La magia del blues e un primato torinese - Magazzino Jazz
21 Marzo 2023

Il libro di Antonio Pellegrini: Blues. La musica del diavolo (Diarkos, 2022) racconta in maniera avvincente la storia del blues. Nel libro ci sono diverse chicche e una in particolare riguarda Torino. Qui infatti si sarebbe tenuto il primo concerto italiano di blues. Un primato che si aggiunge a quello di primo concerto di jazz registrato con l’arrivo a Torino di Louis Armstrong nel gennaio del 1935. Era il lontano 1945 invece quando arrivava in città Big Bill Broonzy e la guerra era finita da un solo mese… ma andiamo con ordine e parliamo prima del volume nel suo complesso.

E’ un canto di liberazione urlato verso il cielo. Non è solo una musica, ma uno stato d’animo. La musica del diavolo è genitrice del rock, del jazz e di tanti altri generi. In un certo senso, è immortale perché, invece di scomparire con una generazione, evolve e si trasforma in qualcos’altro per continuare a svolgere la sua opera taumaturgica. Queste due frasi, contenute nella prima pagina del libro, sono un conciso e soddisfacente sunto di cos’è il blues. Musica dell’anima, pietra angolare della black music di sempre e della musica popular di derivazione americana del Novecento. Il libro si occupa dei principali protagonisti del blues del deep south da Charley Patton a Blind Lemon Jefferson, tracciandone concise biografie. Di quest’ultimo ad esempio si ricorda la fine tragica, quando nel dicembre del 1929, all’inizio della grande recessione, viene trovato morto dopo una tempesta di neve. Lui che era stato uno degli artisti più venduti presso il pubblico segregato nero dei suoi anni. Si passa poi al blues urbano con Bessie Smith e Big Bill Broonzy. Di quest’ultimo si narra un interessante aneddoto “torinese”. Big Bill è anche il primo bluesman nero a venire in Italia: dopo aver suonato nel maggio 1945 al Teatro Reposi di Torino per le truppe americane di stanza nel nostro Paese, nel giugno del 1956 fa un’apparizione televisiva alla Rai e si esibisce all’Hot Club Jazz di Milano. Achiviato il blues anteguerra si approda a quello elettrico di Muddy Waters, Willie Dixon, B.B. KingJohn Lee Hooker, etc. etc. Dopo un necessario capitolo sul British blues si passa al blues rock. A questo punto arriva una parte del libro interessante perché la storia prosegue da fine Novecento al nuovo millennio e i nomi si fanno meno scontati: a parte scelte indiscutibili come Stevie Ray Vaughan e Robert Cray l’autore decide di dare spazio a figure più controverse come quella di Joe Bonamassa o di Kenny Wayne Shepherd o a quella ancorata alla tradizione di John Primer. Altrettanto interessante è l’appendice dove l’autore ospita altre firme italiane della critica blues, impegnate a raccontare questo o quel concerto, o a intervistare qualche protagonista. In conclusione: prima parte sintetica e utile per chi vuole accostarsi al blues, seconda adatta a soddisfare anche i gusti degli adepti di vecchia data.

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