TRAGEDIE SCONVOLGENTI E OMICIDI SENZA COLPEVOLI PORTATI ALLA LUCE DOPO ANNI DI SILENZIO
29 Maggio 2023

Tragedie sconvolgenti e omicidi senza colpevoli portati alla luce dopo anni di silenzio –

Roberto Maida - Storie maledette del calcio. Ciò che la telecronaca non può raccontare. Editrice Diakos – Pag. 325 – Euro 18.00.

di Giuliano Orlando

Vengono i brividi leggendo queste storie che hanno la tragicità greca, per il loro evolversi dove la fatalità viaggia in parallelo con imperizia e colpevolezza. Una galleria buia, lungo un percorso di vite spezzate, quando le luci di un altro destino, poteva portarli all’apogeo della gloria sportiva. Tredici uomini e altrettanti drammi, che l’autore racconta con una disamina di impressionante precisione, illustrando il soggetto come uno psicanalista che scava nel profondo per arrivare a rimuovere la causa del malessere. In questo caso, il soggetto ha già scritto nel capitolo personale una fine tragica. Luigi “Gigi” Meroni è il primo della galleria, genio e sregolatezza senza limiti. Un talento assoluto, un genio paragonabile ai più grandi campioni del pallone. Scomparso a soli 24 anni, il 15 ottobre 1967, travolto da un’auto guidata dal giovane Attilio Romero, un suo ammiratore, lungo il Corso Re Umberto, l’arteria principale del quartiere Crocetta, zona in di Torino. Il club granata lo aveva acquistato dal Genoa per la cifra record di 300 milioni A questo punto mi permetto di intromettermi nella storia, da vecchio tifoso genoano, fede che data dai primi anni ’50. A quell’epoca frequentavo l’oratorio della Chiesa Parrocchiale dell’Immacolata a Pegli, dove sono nato e cresciuto. Una cittadina alle porte di Genova, incuneata tra Sampierdarena imprigionata dalle fabbriche siderurgighe della Finsider, un vero inferno atmosferico, Sestri Ponente dove imperavano i cantieri navali e dalla parte occidentale trovavi Prà e Voltri il regno del vento, arrivando fino ad Arenzano, conosciuto per il Santuario del Bambino di Praga e il manicomio. Pegli godeva e gode ancora di un clima temperato, l’unica cittadina con la spiaggia e la squadra di pallanuoto, la Raris Nantes Pegliese. In quel periodo, tra il 1948 e gli anni ’50, il Genoa allenato da Brighenti aveva come idolo l’argentino Juan Carlos Verdeal, giunto nel 1946 assieme ad altri tre connazionali: Magrì, Ortega e Taioli emerite schiappe. Verdeal era un trascinatore, segnava e faceva segnare l’altro attaccante Della Torre. Quando venne ceduto nel 1949 in Francia al Valenciennes, subentrarono altri tre argentini: Aballay, Boyè e Alarcon. Il primo da dimenticare, meglio il secondo, uomo di centrocampo molto intelligente. Il terzo, fisico scimmiesco, fece innamorare la contessina Agusta, la figlia dei proprietari della casa motociclistica MV che ebbe in Agostini il plurivincitore di titoli mondiali. Allora frequentavo l’oratorio dove il responsabile era don Mario, un giovane sacerdote dell’ordine dei Secolari a sua volta genoano che ci accompagnava allo stadio di Marassi per veder giocare il Grifone. La nostra collocazione non era delle più felici, sulla gradinata in alto con i giocatori che apparivano come figure lontane, ma per noi era ugualmente divertente. Quando nel 1964, Meroni lascia il Genoa, pur essendomi trasferito a Milano, ero rimasto genoano doc per cui seguii la vicenda con attenzione. La società in grave crisi finanziaria, tentò di evitarne la cessione, lanciando un abbonamento biennale, fallito clamorosamente. Dei tremila previsti, ne vennero sottoscritti solo 913, uno a nome di Paolo Mantovani, futuro presidente della Sampdoria. Saputo della trattativa, l’allenatore Santos che si trovava in vacanza in Spagna, parte in auto per bloccare la trattativa o dare le dimissioni. Non arriverà mai a Genova, vittima di un incidente stradale fatale, ancora in terra spagnola. Gigi Meroni a distanza di tanti anni, per i tifosi granata resta una bandiera e il racconto di questo ragazzo che aveva la libertà nel sangue come il talento, viene illustrata nei minimi particolari, compreso il rapporto con l’altro amore, Cristiana Uderstadt Arnone, una splendida fanciulla bionda che Gigi conobbe quando ancora giocava nel Genoa. La grande abilità dell’autore è quella di coinvolgere il lettore al punto di sentirsi parte in causa. Lo fa con Meroni e non meno con tutti gli altri. La lenta agonia di Giuliano Taccola, la giovane speranza della Roma, e quel sussurro del giocatore, steso sul prato dell’Amsicora di Cagliari, le due parole terribili “Aiuto, soffoco”, non raggiungono i soccorsi che forse lo avrebbero salvato.  La morte di Luciano Re Cecconi, il centrocampista della Lazio, uno dei protagonisti dello scudetto, 1973-74, ha dell’incredibile. Entrando con due amici nella gioielleria di Tabocchini, pronuncia la famosa frase “Questa è una rapina”. E’ sera, il locale è piccolo e c’è poca visibilità. Il proprietario estrae una pistola e lo colpisce in pieno petto, stroncando la vita di un calciatore al culmine della carriera. Re Cecconi aveva pensato ad uno scherzo, come hanno sempre sostenuto gli amici, Purtroppo il gioielliere non lo aveva capito. Il seguito in sede giudiziaria fu un tormento infinito per i famigliari e non solo.                                                                                      

Morire in una stanza, andata a fuoco, legato al termosifone dai genitori, che avevano provato in quel modo a salvarlo dalla droga che lo devastava dentro e fuori. Michele Rogliani, considerato un buon calciatore, aveva sfiorato la grande occasione diverse volte in squadre importanti, ma quel maledetto demone gli aveva sempre precluso il salto decisivo. Quando avvenne la tragedia non aveva ancora compiuto 24 anni.                   

  Solo fatalità su quella strada polacca dove transita

va Gaetano Scirea, per arrivare all’’aeroporto di Varsavia? La Juve lo aveva mandato ad osservare il Gornik la squadra di Lodz. La mattina dopo prende posto sulla Fiat Polski 125, prodotta in Polonia su licenza degli Agnelli, i padroni della Juve. Alla guida un giovane di 24 anni, che per la fretta, peraltro ingiustificata, compie un sorpasso azzardata su una strada ad una sola corsia.  L’auto sbanda, finisce sul ciglio della strada, sbattendo contro un furgoncino che arrivava in senso opposto, una portiera si apre e salva la vita al dirigente che lo accompagnava, l’altra resta chiusa e imprigiona l’autista, l’interprete e Scirea, mentre nell’urto si rovesciano le taniche di benzina che erano nel bagagliaio. La vettura prende fuoco ed è la fine dei tre. Scirea aveva appena 36 anni, alle spalle una carriera da calciatore superlativa, ma ancor più un esempio per tutti, atleta e uomo esemplare. Basta leggere quanto scrive l’autore per capire, quanto sia stata pesante la sua scomparsa prematura. Sia pure su diverse angolature, il destino crudele ha accompagnato le brevi vite di Donato Bergamini, Agostino Di Bartolomei, Andrea Fortunato, Giuliano Giuliani e Claudio Carella, Federico Pisani e Davide Astori. Le ultime due storie, su Diego Armando Maradona e Gianluca Vialli sono ferite ancora aperte, descritte con la forza di una prosa viva che emoziona. Ho conosciuto il padre di Roberto Maida, avendo lavorato per un certo periodo per la stessa testata. Un figlio che ha mantenuto le attese del genitore nel modo migliore. Questo libro è un atto di grande coraggio, aprendo al lettore quel percorso dove regna la zona grigia, che i mezzi di informazione solitamente tracciano in modo superficiale, definibile “usa e getta”. L’accuratezza, la pignoleria nel trovare la verità quasi sempre scomoda, a differenza del giornalistico d’inchiesta che pur illuminante, ha durata breve, il libro possiede il pregio di non rischiare alcuna scadenza. Resta sempre attuale.       

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