Il mediano di Mauthausen di Francesco Veltri a 75 anni dalla morte di Vittorio Staccione su Toronews
16 Marzo 2020

Vittorio Staccione: il mediano del Toro che ha sacrificato tutto per un’ideale

La storia / Federico Molinario (pronipote di Vittorio) e Francesco Veltri (autore del libro “Il mediano di Mauthausen”) ci aiutano a ricostruire la storia di un uomo che ha avuto il coraggio di opporsi alle ingiustizie del regime fascista.

Storie di sport, di impegno sociale e politico, ma soprattutto di vita. Quella di Vittorio Staccione, scomparso esattamente 75 anni fa nel campo di concentramento di Mauthausen-Gusen, non è solo la storia di un calciatore bensì di un uomo che alla passione per il calcio e per il Torino ha unito l’impegno politico contro il regime fascista, al fianco degli oppressi. Staccione è stato un formidabile centromediano torinese e torinista, che ha sacrificato la propria carriera e la propria vita per fronteggiare le ingiustizie della sua epoca: “Non era un eroe, era un ragazzo timido e imperfetto che non è rimasto passivo di fronte alle ingiustizie del proprio tempo. Tutti gli dicevano di lasciar perdere la politica e invece lui si è interessato. Non ha girato lo sguardo dall’altra parte in un’epoca come quella fascista in cui ciò era proibito” ci dice Francesco Veltri, autore del libro “Il mediano di Mauthausen”, che racconta proprio la storia di Vittorio.

 

 

 

 

Ma partiamo dall’inizio di questa storia che merita di essere conosciuta. Vittorio Staccione nasce da un’umile famiglia della periferia torinese e scopre il gioco del calcio insieme a suo fratello minore, Eugenio (due scudetti in carriera, uno con il Toro e uno con la Juve). La storia d’amore con il suo Toro inizia nel 1915: a notarlo nei campetti della periferia torinese è Enrico Bachmann, capitano granata dell’epoca. A soli 11 anni, Vittorio entra nelle giovanili del Toro. È un mediano solido e roccioso, tra i più forti della sua generazione, ma anche un uomo che si fa apprezzare anche per la capacità di stare in un gruppo: “In gioventù era estroso, disponibile, allegro: si faceva ben volere dai compagni di squadra perché era una persona piacevole” racconta il pronipote Federico MolinarioCapacità umane che insieme al talento lo hanno portato ad esordire con la gloriosa maglia granata nel 1924. Ma il calcio non è l’unica passione di Vittorio, che essendo di estrazione proletaria grazie a suo fratello Francesco, si interessa di politica e si avvicina sin dalla giovane età al Partito Socialista: “Venendo da una famiglia povera, con il padre che lavorava in fonderia, si è avvicinato moltissimo all’ideologia socialista appena nata. Alternava l’attività calcistica alla politica proprio nel periodo fascista, iniziato nel 1922”.

Ed è proprio il regime di Benito Mussolini che inizia ad ostacolarne la carriera e la vita a causa della sua inclinazione politica. Dopo l’esordio in granata si trasferisce a Cremona per fare il militare e gioca per un’intera stagione (1924/1925) con i grigiorossi della Cremonese: “È stato segnalato a Farinacci (ras fascista di Cremona) come un pericoloso sovversivo, tanto che nelle cronache sportive mettevano una X al posto del suo nome” – spiega ancora Federico MolinarioL’impegno politico, infatti, continua anche a Cremona e Vittorio viene minacciato e picchiato più e più volte.

Poi il ritorno a casa, con quella famiglia tutta granata: “Il fratello Eugenio vinse uno scudetto con la Juve, ma in famiglia non si nominavano i bianconeri perché tutti avevano il sangue granata”. Vittorio conquista il primo scudetto (poi revocato) della storia del Torino nel 1926/1927 con la maglia da titolare al fianco di campioni come Rossetti, Baloncieri e Libonatti. La sua carriera sembra lanciata, ma c’è sempre quel regime a mettergli i bastoni tra le ruote: “Il gerarca fascista di Torino ha messo sotto pressione il club per farlo mandare via. Addirittura non è riuscito a giocare nella partita di inaugurazione del Filadelfia nel 1926 perché in settimana era stato picchiato e gli erano state rotte due costole dai fascisti”. 

Controvoglia abbandona quella maglia granata che ha amato sin da bambino e trova rifugio a Firenze, diventando uno dei giocatori più amati della Fiorentina di quei tempi. Nel 2012, infatti, il club viola lo ha inserito nella Hall of Fame Viola come miglior giocatore degli anni ’20 e ’30. Costretto ad andare via anche da Firenze, gli rendono sempre più difficile continuare la propria attività politica improntata sull’antifascismo. Milita nel Cosenza per tre stagioni e poi nel Savoia, prima di lasciare il calcio nel 1935, a soli 31 anni. “Senza quell’avversione politica avrebbe avuto una carriera molto più lunga sia con il Toro che con la Fiorentina. Ha smesso perché a Torre Annunziata, non si sa se durante l’allenamento o fuori dal campo, gli è stato spaccato un ginocchio”. 

Torna in Piemonte a fare l’operaio, il tornitore ma continuando a svolgere attività antifascista gli viene resa la vita impossibile: “Lo hanno perseguitato anche in quel periodo: è stato picchiato ed arrestato almeno 7/8 volte, obbligavano i padroni delle fabbriche a licenziarlo e gli impedivano di trovare lavoro” – prosegue Federico Molinario. Poi scoppia la Seconda Guerra Mondiale e Vittorio continua la propria attività politica all’interno delle formazioni partigiane e di operai torinesi, fino agli scioperi del 1 marzo 1944: “Non era uno dei promotori di quegli scioperi, pur essendo molto impegnato e attivo contro il fascismo non ha mai utilizzato la violenza, è sempre stato uno che ha fatto antagonismo di pensiero”. 

Essendo però molto conosciuto a Torino, viene denunciato e arrestato proprio per la partecipazione a quegli scioperi. Assieme a Francesco, suo fratello maggiore, viene mandato nel campo di concentramento di Mauthausen con il convoglio ferroviario n. 34: “Il commissario lo ha lasciato tornare a casa per fare la valigia, ma lui invece di scappare è tornato in commissariato”.  L’ultima immagine che si ha di Vittorio Staccione è quella che Ferdinando Valletti, mediano del Milan deportato anche lui a Mauthausen ma sopravvissuto, ha descritto nel proprio libro: “Le SS li chiamavano quando mancavano persone per giocare a calcio e una mattina sono andati lui e Valletti. Posso solo immaginare il terrore”. Per le ultime volte nella sua vita Staccione, il “mediano di Mauthausen” si oppone alle SS anche durante la sua prigionia, all’interno del campo di concentramento in Germania. Vittorio viene lasciato morire dopo un pestaggio da parte dei militari a Gusen (succursale del campo di Mauthausen) il 16 marzo 1945, lasciando a tutti noi l’esempio di un uomo con la schiena dritta, capace di manifestare le proprie idee di libertà nel periodo più buio della storia del ‘900.

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