Le rotte del gas nel Mediterraneo e le sfide per l’Italia. Guerra e pace dell'energia di Demostenes Floros consigliato su Opinio Juris
6 Maggio 2020

Le rotte del gas nel Mediterraneo e le sfide per l’Italia

Nella partita geostrategica dell’energia nel Mediterraneo l’Italia fatica a esser protagonista. Prontuario delle priorità per il Paese in una competizione che dopo l’emergenza sanitaria tornerà a farsi serrata.

L’Italia si trova coinvolta nella partita energetica del Mediterraneo quasi senza avere, in certe circostanze, la consapevolezza di esserne uno degli attori cruciali. E di dover porre in essere una strategia politica di alto livello tale da permettere di mettere in sicurezza gli approvvigionamenti energetici che, da Enrico Mattei in avanti, sono stati individuati come uno dei perni della nostra azione sullo scacchiere internazionale.
Nel Mediterraneo l’Italia tentenna e non esercita il mordente necessario per agire a livello sistemico. E dire che le zone e le partite di interesse primario per il Paese nel Mediterraneo sono facilmente individuabili. In ordine crescente di distanza dal Paese, abbiamo l’offshore gasiero adriatico insipientemente abbandonato dal governo giallo-verde nel 2018-2019 con lo stop alle trivellazioni[1]; la necessità di gestire le importazioni energetiche nordafricane (gas e, in misura ora minore, petrolio) tutelando la posizione italiana in Libia e Algeria; il Mediterraneo orientale in cui, grazie ai nuovi giacimenti Zohr (Egitto, scoperto da Eni) e Leviathan (Israele) si sta sviluppando un nuovo hub regionale del gas.
Trasversalmente, tra Eurasia e Mediterraneo si combatte la partita dei gasdotti. Le cui rotte, lo ricorda Pharag Khanna in Connectography, segnano le direttrici delle nuove alleanze politco-economiche su scala internazionale[2] e, nel quadrante euromediterraneo, fungono da linea di faglia per la “guerra fredda” del gas Usa-Russia[3] e da volano per le ambizioni geopolitiche di produttori e importatori dell’oro blu[4].
L’Italia, al quinto posto tra i consumatori di gas naturale nella classifica mondiale, ha in particolar modo la necessità di agire coerentemente per differenziare il più possibile il paniere di fornitori, offrire una proiezione politica ai suoi campioni nazionali (Eni, Snam e Saipem soprattutto) attivi nell’estrazione e nella costruzione delle infrastrutture di supporto, creare sviluppo interno con l’indotto economico del settore (come successo a lungo nel distretto di Ravenna), rendere stabile il flusso in entrata per consumatori e attori economici. Come spiegato da Lorenzo Vita e Alberto Bellotto su Inside Over, “Partendo da questo dato, è del tutto evidente che qualsiasi governo italiano abbia la necessità di avere la sicurezza energetica e delle rotte energetiche come principale punto in agenda della propria strategia.
Lasciare l’Italia al freddo, come spesso di usa dire per indicare un’interruzione del flusso di gas, è un pericolo che per un Paese che dipende dall’estero non è affatto impossibile che si realizzi[5]”. Da non sottovalutare, in questo contesto, l’aumento della competizione politica nell’agone mediterraneo o i contraccolpi dell’ingenuità e della mancata progettualità. Lo abbiamo visto e subito nell’Adriatico, abbandonato dall’Italia sull’altare di una retorica ambientalista semplicistica che ha offerto ai Paesi balcanici (Croazia, Montenegro, Grecia) l’opportunità di sfruttare i giacimenti offshore abbandonati. Lo scenario libico, con l’incomprensibile tira e molla di Roma tra Serraj e Haftar, si inserisce in questo canovaccio. Nel Mediterraneo orientale, come l’analista di Limes Mirko Mussetti ha sottolineato[6] nel suo recente saggio Axeinos! dedicato al Mar Nero la Turchia di Recep Tayyip Erdogan si è confermata essere la principale rivale di Roma.

Ankara, forte di una spregiudicata condotta e di una proiezione politica, ideologica e militare non indifferente, mira a subentrare all’Italia come “patrona” del governo libico di Serraj; sfrutta la leva della Repubblica di Cipro Nord per territorializzare le acque contese dell’isola di Venere ricche di pozzi gestiti da Eni e dalla francese Total; ha tolto all’Italia centralità nelle rotte del gas russo dopo che, a inizio gennaio, l’inaugurazione di TurkStream ha posto fine all’inconveniente del declino definitivo del progetto South Stream nel 2014.  In definitiva, attua una visione strategica come principio-guida della sua condotta in materia di politica energetica.
Quello che, in definitiva, l’Italia non è ancora stata capace di definire. Le questioni aperte restano molte, e in definitiva riguardano l’approccio dell’Italia al teatro che dovrebbe essere di maggior pertinenza per la sua condotta. La scarsa assertività italiana nella sfida energetica del Mediterraneo è riflesso della permanente riduzione del “Grande Mare” nei calcoli dei decisori politici a discapito della direttrice atlantica e dell’asse renano-carolingio.
L’Italia è solerte di fronte al richiamo della scelta di campo atlantica o dei vincoli europei, ma vive, per citare l’analista Pierluigi Fagan, con una “mentalità post-geografica”: non ci si rende conto della nostra posizione geografica sulla mappa o meglio sul territorio.
Le nostre élites recenti e grande parte dell’opinione pubblica, qualificata o meno, è intrinsecamente convinta che il nostro destino sia mitteleuropeo […] Siamo una penisola con tre lati nel mare, Mediterraneo nella fattispecie. Gli americani ci usano come una portaerei ed un porto centrale, nelle loro strategie. Loro vedono cose di noi che noi non siamo in grado di vedere perché guardiamo da un’altra parte[7]”.

Né potrà aiutare agire esclusivamente secondo il principio di azione-reazione. Tutelare gli interessi energetici in Libia solo nei momenti di rinfocolamento della crisi, aderire al gasdotto EastMed a trazione greco-israeliana in risposta alle manovre turche o tergiversare sulle trivellazioni non aiuta ad adottare un approccio sistemico.
La stabilità energetica è vettore multicomponente, su cui insistono una dimensione diplomatica, una economica, una geopolitica ed una, non indifferente, legata alle potenzialità militari e alla capacità di difesa dei propri assetti nel Mediterraneo.

Nei rari casi in cui Roma ha saputo fare sistema, come dimostrato dai recenti accordi con Cipro[8], i risultati non si sono fatti attendere. L’auspicio è che tali evoluzioni cessino di essere fuochi di paglia e diventino la regolare amministrazione di una rinnovata politica energetica mediterranea. La chiarezza degli interessi in campo è tanto cristallina da non concedere alibi agli elaboratori della politica italiana nel settore: specie dopo che, una volta terminata l’emergenza sanitaria del coronavirus, la competizione economica e securitaria nel Mediterraneo tornerà a farsi serrata.

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