“La variabile nascosta”: intervista all’autore su Convenzionali
23 Giugno 2020

Gianfranco Manes ha scritto l’ottimo La variabile nascosta: Convenzionali lo intervista per voi.

Da dove nasce questo romanzo?

Un giorno di primavera del 1927 un giovane fisico tedesco partiva per una sperduta isola norvegese per sfuggire all’asma che lo assillava. Ne sarebbe tornato un mese dopo con due fogli pieni di formule che avrebbero cambiato per sempre la nostra visione della realtà. Si chiamava Werner Heisenberg  e sei anni dopo avrebbe ricevuto il Nobel per aver posto le fondamenta di una rivoluzionaria visione della Fisica, la Meccanica Quantistica. Il concetto che aveva posto alla base della sua Teoria si chiama Principio di Indeterminazione e molte cose nella sua vita sono indeterminate, oggetto di  controversie, di discredito e perfino di calunnie, da parte di alcuni, così come di apprezzamento e sostegno, da parte di altri. Qual è la verità, mi sono chiesto, affascinato da una figura che aveva fatto parte del mio insegnamento universitario per trent’anni? Alla fine di un lungo percorso credo di aver trovato una verità, o almeno la mia verità, e ho pensato di raccontarla all’interno di un romanzo di spionaggio che poteva interessare un lettore più di un saggio storico. Lo stimolo di un’amica giornalista e il fertile rapporto, che si è poi trasformato in amicizia, con il mio agente letterario hanno fatto il resto. Tutto qui…

Qual era il piano atomico nazista?

Siamo nel giugno del ’42, la Seconda guerra mondiale è ormai al suo terzo anno e gli scienziati di Uranverein, il programma nucleare tedesco, si riuniscono segretamente a Berlino con i vertici politici e militari. Ordine del giorno: la realizzazione di un ordigno nucleare tale che ‘d’ora in avanti la storia universale sarebbe apparsa diversa da prima’, con le parole di uno di essi. Da quando si erano riuniti la prima volta, nella primavera del ’39, gli scienziati di Uranverein avevano fatto molti progressi. Dopo che Otto Hahn aveva scoperto la fissione nel ’38, Heisenberg aveva concepito un rivoluzionario generatore di energia, la Macchina a Uranio; un suo collaboratore aveva scoperto che quella Macchina poteva produrre un materiale fissile più potente dell’Uranio, il Plutonio, e nel ‘41/’42 Heisenberg aveva realizzato assieme a un suo collaboratore, Robert Döpel, i primi prototipi di Macchina a Uranio.  Avevano molti dei pezzi necessari a comporre il complesso puzzle che conduceva all’ordigno micidiale e quell’incontro poteva segnarne la nascita, ma fu proprio Heisenberg con la sua richiesta di un finanziamento irrisorio a decretarne invece la fine e il programma che poteva portare alla bomba nazista fu abbandonato prima ancora di nascere.  Su questo si sono scatenate le polemiche e le controversie. Fu incapacità,  scrupolo morale, mancanza di risorse? Ma forse la domanda più inquietante è: cosa sarebbe successo se l’avessero fatto?

Cosa ha impedito al Reich di completare l’operazione?

Quasi negli stessi giorni in cui il progetto nazista implodeva, quello alleato esplodeva. Nel giugno del ’42 Franklin Roosevelt dava il via al progetto Manhattan che tre anni dopo avrebbe prodotto la prima esplosione nucleare e ‘la storia universale sarebbe apparsa diversa da prima’. Perché gli Alleati sono riusciti dove i tedeschi hanno fallito? Sono molte le risposte a questa domanda ma una forse è quella determinante: Manhattan ha coinvolto un potenziale scientifico, economico e industriale enorme, 130 mila uomini tra scienziati, tecnici e personale addetto, per un costo equivalente a trenta miliardi di dollari di oggi. Il Terzo Reich in quel momento avrebbe potuto fare altrettanto?

Quali sono i luoghi e i personaggi principali di questa vicenda?

Oltre a Heisenberg, che appare in modo carsico lungo tutto il racconto, i due personaggi storici che si fronteggiano come in un’immaginaria partita di scacchi sono Walter Schellenberg, capo dell’Intelligence delle SS, e Stewart Menzies, omologo dell’Intelligence Service britannico e, sullo sfondo, diversi altri personaggi strumentali alla vicenda. Non c’è un protagonista assoluto, come in quasi tutti i romanzi, quello che da solo risolve tutto, per una precisa scelta basata sulla convinzione che nella realtà questo non accade mai. Ci sono piuttosto diversi protagonisti, molti solo persone normali, che sono spinti da circostanze eccezionali a compiere imprese eccezionali. I luoghi sono molti, tutti ricostruiti con minuziosa precisione sulla base di documenti storici, la sede dei Servizi inglesi camuffata da fabbrica di estintori, alcune località della Norvegia e della Germania e il quadrilatero del terrore, oggi raso al suolo, dove aveva sede il quartier generale delle SS e della Gestapo.

Quali aspetti l’hanno colpita di più?

Due in particolare. Uno, l’accanimento di alcuni storici e fisici occidentali riguardo al ‘caso Heisenberg’ accusato di non aver saputo sviluppare la bomba, facendo così naufragare il progetto nazista. Si sono ignorati documenti accessibili come i Rapporti G prodotti durante Uranverein e poi desecretati dopo la guerra e che mi sono in parte tradotto dal tedesco. Ci raccontano tutta un’altra storia, ma d’altra parte si sa che la storia la raccontano i vincitori. L’altro, quando mi sono chiesto cosa poteva succedere se Hitler avesse disposto di un’arma atomica, diciamo nel giugno ’44 quando gli Alleati sono sbarcati in Normandia, e mi sono venuti i brividi…

Com’è riuscito ad amalgamare finzione e realtà, ricerca e invenzione letteraria? Questa mi piace particolarmente, è la più stimolante per me. Mi sono imposto di rappresentare le vicende e i personaggi storici, perfino le loro minute abitudini, con il massimo di realismo e aderenza storica. Mi ha aiutato il background che ho acquisito nel corso degli anni circa il quadro storico di riferimento. Poi biografie, notizie e testimonianze, testi di storia, perfino rapporti desecretati della CIA su vari personaggi come ad esempio Schellenberg e realismo assoluto per evitare quelle forzature che possono colpire, ma che il lettore accorto magari percepisce con fastidio perché la realtà può offrirci più sorprese di quanto la nostra fantasia può concepire. Un discorso a parte merita il ‘caso Heisenberg’, sul quale si sono espressi personaggi insigni e anche premi Nobel della Fisica, e quindi da trattare con estrema delicatezza. Nel romanzo emerge, come ho detto, una mia verità che alla fine coincide con quella che lo stesso Heisenberg ci racconta in un’intervista del ’67. Heisenberg mi ha affascinato, non lo nascondo, e come faccio dire a un mio personaggio, le debolezze dell’uomo non possono farci dimenticare la grandezza dello scienziato, anche se è vero il contrario.

Prossimi progetti?

Qualcosa bolle in pentola, ma per il momento preferisco tenere chiuso il coperchio.

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