Electric Lady Studios, il grande sogno di Jimi Hendrix - RollingStone
26 Giugno 2025

Nel 1968 Jimi Hendrix era all’apice della sua carriera, ma il successo non era privo di frustrazioni. Ogni volta che entrava in uno studio di registrazione tradizionale si scontrava con limiti di tempo, costi elevati e tecnici che non comprendevano il suo approccio sperimentale e fuori dagli schemi dell’epoca alla chitarra.

Per Hendrix, registrare significava creare, improvvisare, tornare indietro, modificare, distruggere e ricostruire ed era solito lavorare senza fermarsi per ore, per interi giorni, registrando infinite take e stravolgendo i brani fino a ottenere il suono perfetto. Questa metodologia, tuttavia, cozzava con la rigidità delle sale di registrazione dell’epoca, progettate per un approccio più convenzionale. «Non posso lavorare con un orologio che mi dice quando devo fermarmi. La musica non funziona così», disse in un’intervista nel 1969 parlando proprio della sua visione creativa e del suo modo di concepire l’arte. Aggiungendo poi: «Ho bisogno di un posto che sia mio. Un posto dove nessuno mi dica di smettere quando sto cercando il suono perfetto». Senza contare che per affittare gli studi per i propri album, Hendrix spendeva ormai qualcosa come 200 mila dollari all’anno (oggi sarebbero più di un milione).

Fu allora che nacque l’idea degli Electric Lady Studios. Un’idea che prese fattivamente forma quando Michael Jeffery e Jimi nel 1968 decisero di acquistare il Generation Club al 52 West Eighth Street, un posto da poco chiuso nel Greenwich Village che aveva ospitato, tra gli altri, gente come B.B. King e Janis Joplin. La prima pensata, in realtà, fu quella di acquistare un posto dove poter tener concerti, fare jam e incidere cose sue in un piccolo studio con otto tracce. Con la guida di Jim Marron vennero chiamati il fido sound engineer Eddie Kramer e John Storyk, un architetto e tecnico acustico poco più che ventenne che si era appena occupato del Cerebrum, un locale “da sballo” che Hendrix apprezzava molto.

Il chitarrista, tuttavia, aveva in mente progetto diverso: perché non creare il proprio studio di registrazione, dove poter lavorare senza limiti di tempo o di creatività? «Ho passato troppi anni a vagare tra studi che non mi capivano. Adesso voglio un posto che sia mio, un luogo dove posso registrare ogni volta che voglio, per tutto il tempo che voglio. A che serve un altro club, quando possiamo costruire un posto dove la musica possa nascere e non solo essere eseguita?».

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