Dagli anni ‘30 ad oggi, un viaggio per raggiungere la dignità sportiva. E un universo da conquistare. Pietro Scognamiglio – La storia del calcio femminile italiano. Dalle origini al professionismo - Diarkos editore - Pag. 300 – Euro 18.00.
di Giuliano Orlando
Può apparire anacronistico che alle porte del 2030, parlare di una disciplina come il calcio femminile in Italia non abbia ancora raggiunto la parità completa dei colleghi maschi. Le normative giuridiche e regolamentari sono equiparate, ma il gap a livello di immagine, quindi investimenti da parte delle imprese che scommettono sul calcio in rosa, sono ancora carenti anche se in crescita. Resta da fare a livello delle strutture, ovvero l’impiantistica carente in particolare nelle periferie. Infine il rapporto con le scuole. Questo il presente orientato al futuro, che il presidente della Figc, Gabriele Gravina ha illustrato e denunciato nella prefazione. Mentre l’autore Pietro Scognamiglio, ha raccontato con ricchezza di particolari, la storia del calcio femminile italiano, cresciuto a dismisura nell’ultimo decennio, dopo un travaglio infinito. Pubblicarla è una spinta notevole, come afferma Katia Serra, docente universitaria, commentatrice ed ex calciatrice, nell’introduzione. Sottolineando l’importanza del libro, perché senza la conoscenza della storia non può esistere memoria. Il lavoro scritto rappresenta un viaggio prezioso.
La ricostruzione storica che qui si offre ha valore inestimabile. Fissa per sempre partite e trofei, accende riflettori spenti, quando mancava il rispetto e la dignità era calpestata. Che l’inizio del calcio femminile fosse tutto in salita lo conferma una dichiarazione che risale al 1909, rilasciata da Guido Ara, centrocampista della Pro Vercelli nelle cui file vinse sette scudetti, sei da calciatore e uno da allenatore, tra il 1908 e il 1920. Cosa disse? Semplicemente questo: “Il calcio non è uno sport per signorine”. Una sentenza, un macigno che divenne un ostacolo divelto solo negli anni ’30 e non del tutto. La volontà esisteva, la voglia era tanta come l’indifferenza di troppi che vedevano il calcio femminile un passatempo, una moda destinata a vita breve. Si sbagliavano, ma i tempi dell’apertura ufficiale erano ancora lontani. Eppure il calcio femminile in Inghilterra aveva mosso i primi passi nel lontanissimo 1869 e nel 1881 la prima partita ufficiale tra Inghilterra e Scozia, mentre nel 1895 nella zona nord di Londra la sfida tra l’Inghilterra del Nord e quella del Sud raccolse ottomila spettatori e le giocatrici indossavano la tenuta identica ai maschi. Non solo, nel periodo bellico (1916-17) venivano organizzate partite al femminile per raccogliere fondi a favore di orfani e invalidi.
Ad onor del vero, anche Albione ebbe i suoi ripensamenti e nel 1921, dopo che l’anno prima la partita tra le giocatrici dell’Everton e di Liverpool portò in tribuna 50.000 spettatori, la Football Association decise di vietare il calcio femminile. Parecchi i motivi, in particolare il rientro degli uomini nelle fabbriche e in parallelo sui campi di calcio. Non solo in Inghilterra, ma anche in Europa. I regimi non hanno mai amato lo sport al femminile. Lo dimostra la lunga battaglia del CIO, per inserire l’atletica femminile ai Giochi olimpici, accettata solo nel 1928. Figuriamoci in Italia, dove il fascismo era l’emblema della superiorità assoluta della mascolinità, riservando al settore femminili altre mansioni, in particolare quello di riproduttrici. Eppure la fiaccola del calcio femminile non si spense mai. Torce isolate ma tenaci. A Milano nel 1933 viene costituito il Gruppo femminile calcistico, fatto chiudere meno di un anno dopo. Eppure, profonda nel significato simbolico. L’importanza di questo lavoro è proprio nel dettaglio di un percorso ad ostacoli, dove cadute e risalite sono la continuità al femminile, che la storia ci ha confermato essere ben più tenaci degli uomini.
Nel giugno 2021, a 88 anni di distanza dalla prima partita al femminile tra Cinzano e Ambrosiano a Milano, veniva inaugurata all’interno del Parco Sempione, dietro l’Arena Civica, Via Calciatrici del ’33. Nel 1970 i primi mondiali al femminile, con l’Italia protagonista anche a livello organizzativo, allestendo la Coppa Europa e poi quella del Mondo, nonostante defezioni e polemiche a non finire. L’Italia trovò anche uno sponsor di qualità come la Martini & Rossi, che permise l’evento. L’Italia non vinse, la Coppa se l’aggiudicò la Danimarca (2-0), ma al Comunale di Torino, accorsero in 50.000. Incredibile ma vero, il calcio italiano in rosa, nell’occasione non era riconosciuto dalla Federcalcio e tantomeno dal CONI! L’altro passo storico è datato dai Giochi di Atlanta 1996, dove il calcio femminile scende in campo ufficialmente. Merito principale della nazionale a stelle e strisce, che domina il campo internazionale e vince il torneo a cinque cerchi. L’Italia finora non è mai riuscita a qualificarsi alla rassegna.
Oggi il calcio femminile è una realtà di vertice, con un campionato dove giocano straniere che fanno parte delle rispettive nazionali. I campionati hanno regolarità e pubblico. Aumentano le iscrizioni, tra il 2008 e il 2023 sono passate da 18.854 a 42.852, una crescita oltre il 125%. Sfiorando quota 46.000 la scorsa stagione. Le emittenti compresa la Rai, le seguono e nel medagliere italiano arrivano anche titoli importanti. La nazionale ha personalità e grinta, Non sempre è fortunata, ma questo rientra nel percorso di ogni nazionale. Comunque può giocarsela con le più forti. Il raggiungimento dei quarti ai mondiali 2019 in Francia, ha fatto compiere un balzo in avanti incredibile Non solo, investire nel calcio femminile può essere conveniente. Tanto è stato fatto ma molto resta da fare. Tutto questo e molto altro ancora è raccontato nel dettaglio in questo libro che aiuta e non poco la crescita del calcio in rosa, con gli artigli delle aquilotte.
Giuliano Orlando
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