Cannabis. Il futuro è verde canapa di Mario Catania su LAMPOON
19 Novembre 2020

La filiera della canapa riparte a livello industriale, con 70 anni di ritardo

Fito-depuratore per le coltive, fibra resistente per il tessile, salubre per le costruzioni edili, terapeutica per malati: discorso sulla canapa con Mario Catania

Fino a dieci anni fa in Italia le aziende che si dedicavano alla canapa erano perlopiù legate al suo sviluppo in campo alimentare (olio derivato dalla spremitura del seme), al commercio dei semi da parte di Seed Banks (destinati alla piantumazione o alla collezione), alla bioedilizia e alle apparecchiature necessarie per la sua coltivazione. L’ossatura di un settore si poteva intravedere, ma i problemi politici legati alla sua regolamentazione hanno rallentato il suo sviluppo (nel 2013 fu proposto un piano di legge, approvato solo nel 2016). Anche se per quanto riguarda la coltivazione della pianta (nelle varietà regolate dalle Normative Comunitarie, e ammesse alla coltivazione nell’Unione Europea), in Italia il via libera esiste dal 1999. Mario Catania è un giornalista e co-fondatore di Canapa Industriale, sito divulgativo fondato nel 2013. La scelta di accostare i termini canapa e industriale è pensata per enfatizzare le possibilità che la pianta offre. «L’idea è nata in seguito alla partecipazione a una fiera dedicata alla canapa che si teneva a Fermo», racconta. «Ho realizzato un documentario sugli usi e i progetti che si sviluppavano intorno alla canapa, una pianta in parte esplorata per millenni dall’umanità, e poi abbandonata. Oggi grazie all’uso e alle conferme delle tecnologie assistiamo a una rinascita della canapa e dei suoi nuovi scopi».

«Ancor oggi, se una persona parla di cannabis, il primo collegamento è al suo scopo ricreativo. In altre culture, dove l’uso non è demonizzato, diventa uno strumento per avvicinarsi o connettersi al divino. Un po’ come l’uso del vino o l’eucarestia per la messa», spiega Catania. Nel 2016 è approvata la legge che reca norme per il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera della canapa (Cannabis sativa L.), quale coltura in grado di contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita di biodiversità, nonché come coltura da impiegare quale possibile sostituto di colture eccedentarie e come coltura da rotazione. Tra le novità introdotte nella legge, la possibilità di non notificare alle forze dell’ordine la semina di varietà di canapa certificate (a patto che il valore di thc sia inferiore a 0,2%), mentre la quantità di thc nella pianta, se analizzata, deve restare dentro un range che oscilla tra 0,2 e 0,6%. Erano previsti finanziamenti al settore fino a settecento mila euro l’anno. Questa legge ha riportato fiducia alla coltivazione della pianta e ha permesso di generare investimenti che ad oggi – solo per il mercato della cannabis light e dei prodotti a base di cbd – si stimano intorno ai centocinquanta, duecento milioni di euro. La confusione in merito alla regolamentazione dei prodotti contenenti cbd però, è ancora presente: «A inizio ottobre 2020 un decreto del Ministero della Salute aveva inserito le preparazioni medicinali a base di cbd nella tabella dei medicinali del testo unico degli stupefacenti. Questo ha mandato in crisi farmacisti e consumatori», sottolinea Catania. Un allarme che si è fermato prima dell’entrata in vigore del decreto (previsto per fine mese) in seguito alla sospensione – come si legge nell’atto ufficiale – in attesa dei pareri richiesti all’Istituto Superiore di Sanità e al Consiglio Superiore di Sanità.

Dopo l’approvazione della legge del 2016 (anche se in realtà i primi negozi di semi e attrezzature da giardinaggio e per fumatori sono nati a fine anni ’90 – inizio 2000), si è visto il moltiplicarsi di grow shop nelle città – dove si vendono prodotti contenenti cbd, cannabis legale e semi di canapa da collezione. Il reparto industriale non ha avuto slancio – il comparto tessile non possiede una filiera completa per la produzione di filato di fibra di canapa. Le piante coltivate per il tessile prevedono una fibra lunga e pulita. Per tagliare e trebbiare le piante servono macchinari e attrezzature che in Italia, vista l’assenza di coltivazioni di canapa tessile per decenni, sono costosi e richiedono investimenti. In passato le famiglie lavoravano la pianta a mano. Dopo il raccolto era eseguita la macerazione in acqua – passaggio atto a facilitare la divisone di canapulo (parte lignea interna) dalla fibra – cui segue il passaggio nella stigliatrice (una macchina che divide le due parti). In seguito al proibizionismo e alla campagna anti droga organizzata dagli Stati Uniti a inizio secolo scorso, l’avvento delle fibre tessili sintetiche e del petrolio, si è abbandonata la coltivazione della canapa. Lo sviluppo dei macchinari per trattarla e lavorarla in Italia si è fermato, mentre in altri Paesi, come la Cina, la Francia e il Canada è continuato fino a oggi. La Cina è il primo fornitore di fibra di canapa per l’Italia, e la sua qualità per il tessile sta migliorando nel tempo. Sono in atto studi riguardo a progetti e impianti per meccanizzare i passaggi della lavorazione della pianta su scala industriale in Italia. Il settore cresciuto di più negli ultimi anni, forse perché meno toccato dal vuoto normativo, è quello dell’edilizia.

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