JOHN LENNON di Vincenzo Oliva e Riccardo Russino su Donna Moderna del 04/12/20 pag. 66
4 Dicembre 2020

Quando Yoko Ono e John Lennon si conobbero lei gli diede un biglietto con su scritto “Respirare”. E la vita del leader dei Beatles cambiò. Si liberò dal cliché della rockstar ed entrò nella Storia. Dove oggi, a 40 anni dalla morte, lo ricordiamo

John Lennon è uno di quelli che non muoiono mai. È andato solo da un’altra parte, dove ha continuato a cercare il senso della propria esistenza. Per dirla con le sue parole: «Non credo alla morte. Penso che sia solo scendere da un’auto per salire su un’altra». Era il 1969 quando le pronunciò: aveva 29 anni, i Beatles ormai erano alla fine del loro percorso e lui stava cominciando una nuova vita. Per questo oggi farebbe una precisazione: «Il mio nome adesso è un altro. Mi chiamavo John Lennon prima di incontrare Yoko, la mia seconda moglie». E in questa precisazione c’è la sua storia: la presa di coscienza da parte di un ragazzo geniale, un percorso di liberazione dai cliché sociali e dai condizionamenti del business e dello star system.

Se oggi vuoi chiamarlo, devi usare il suo nome completo: John Winston Ono Lennon. Lo ha cambiato ufficialmente quando, il 23 marzo 1969, si è sposato con Yoko Ono, 2 anni 4 mesi e 10 giorni dopo averla conosciuta. A 80 anni dalla nascita (Liverpool, 9 ottobre 1940); a 60 dalla prima apparizione su un palco coi Beatles (Amburgo, 17 agosto 1960); a 40 dal suo assassinio per mano di uno squilibrato (New York, 8 dicembre 1980, ore 22,51, 5 colpi di pistola davanti al portone di casa), si può dire che John Lennon è uno di quegli uomini salvati da una donna. L’incontro con Yoko Ono, artista giapponese di 7 anni più grande, ha trasformato una star in un uomo, aiutandolo a diventare mito: da leader di una band musicale a punto di riferimento culturale. Come riconosceva lui stesso: «Abbiamo bisogno di persone che siano punti di riferimento, non abbiamo bisogno di leader».

La vita di John Lennon

Non la pensava così, prima. Prima era tutta una corsa al successo. E più aveva successo, più era insoddisfatto. John nasce sotto le bombe tedesche all’inizio della Seconda guerra mondiale. I genitori si separano quasi subito. Dalla madre, che idolatra, non si sente amato. Passa infanzia e adolescenza sballottato fra lei, che divorzia e si risposa, e zia Mimi, amorevole, ma un po’ rigida. Sogna di fare l’artista. Disegna con talento. Poi si innamora del rock & roll, colpito da Rock Around The Clock e folgorato da Elvis Presley e dalla sua Heartbreak Hotel. Impara l’armonica a bocca e la chitarra. Finirà per suonare anche il pianoforte, l’organo, la batteria, l’ukulele, il banjo, il sassofono.

A 16 anni fonda la sua prima band, i Quarrymen. Rimane storica la frase di zia Mimi che, stufa di vederlo con la chitarra in mano, dice: «Va bene la chitarra, John, ma non è certo con lei che ti guadagnerai da vivere». In effetti, non è con la chitarra, è con il suo genio che si è guadagnato da vivere e ha conquistato un posto nella Storia. Della cultura, del costume, oltre che della musica. Il primo incontro decisivo è con Paul McCartney, di 2 anni più giovane. È il 6 luglio 1957. Un sabato pomeriggio. I Quarrymen si esibiscono durante la festa nella parrocchia di St. Peter a Liverpool. Un amico comune li presenta. E 3 anni dopo sbocciano i Beatles, con il loro pop rock travolgente, da A Hard Day’s Night a Help!, da Sgt. Pepper’s a Yellow Submarine, per citare solo alcuni album. Fino ad Abbey Road e a Let It Be, usciti nel 1969 e nel 1970, quando tutto era già finito.

L'incontro con Yoko Ono

 


«La vecchia gang finì nel momento in cui conobbi lei» riconosce John. Incontra Yoko Ono il 9 novembre 1966 all’Indica Gallery di Londra, dove lei presenta alcune opere. Galeotti sono una mela, esposta al prezzo di 200 sterline, e un chiodo che serviva in una performance. Spiazzante, per Lennon. Prima di andarsene, riceve da Yoko un biglietto con scritto “Respirare”.

Nel 1969 si sposano e non smettono più di respirare insieme. Sono uscite Give Peace a Chance e Imagine, hanno fatto album sperimentali, mostre, performance politiche come i Bed-in, le proteste seduti nel letto giorni e giorni, per la pace ad Amsterdam e a Montréal. Poi John scompare dalla scena pubblica: dal 1975 fino al 1980, quando ritorna in studio con la moglie a registrare un nuovo album, Double Fantasy, che uscirà un mese prima della morte.

Quando gli chiedono: «Che cosa hai fatto in tutto questo tempo?» risponde: «Ho fatto il pane e ho seguito il bambino». Il suo secondo figlio, Sean. Diventare un casalingo è stato il modo per curarsi: «È stato più importante affrontare noi stessi e la realtà piuttosto che continuare una vita nello show business del rock & roll, con tutti gli alti e bassi determinati dai tuoi spettacoli e dalle opinioni del pubblico». Si sentiva in prigione, rischiava di diventare lo stereotipo di sé stesso. Lo evita grazie a Yoko Ono. Almeno fino all’8 dicembre di 40 anni fa, davanti all’ingresso del Dakota Building, dove abitavano sulla 72ª strada, a New York, nell’Upper West Side. Nell’ultima intervista rilasciata in coppia con la moglie a David Sheff nel settembre del 1980, uscita su Playboy il 7 dicembre, a un certo punto John dice: «La vita comincia a 40 anni, sostengono. Ci credo anch’io. Perché mi sento bene. Sono entusiasta. È come compiere 21 anni». Le sue ultime parole registrate sul nastro sono: «Chi può dire che cosa succederà?».

 

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