Antonio Bacciocchi è un nome che chiunque abbia la passione per la musica dovrebbe conoscere: scrittore, musicista, blogger, nella sua carriera ha inciso circa cinquanta album suonando, tra gli altri, in gruppo come Not Moving, Link Quartet e Lilith. Nei suoi libri ha raccontato, tra gli altri, il rapporto tra sport e musica, ripercorso la vita e la carriera di Paul Weller e e Ray Charles, il genio senza tempo.
Con il suo nuovo libro, Punk. Born to lose (Diarkos Editore) Bacciocchi racconta invece la storia di quel movimento giovanile ribelle per antonomasia che diede vita a molti gruppi musicali (alcuni più genuini, altri meno) lasciando un segno indelebile nella società. E lo fa con un volume denso di storie e aneddoti, un vademecum per chiunque volesse ripartire dall’inizio e capire cosa fu (e cosa è) il punk partendo dalle sue radici per poi avventurarsi nelle sue molteplici varianti.
E inevitabilmente, quando si parla di origini del punk, il pensiero corre agli Stati Uniti e a quel gruppo fondamentale che furono gli Stooges, “guidati dal demone sceso in terra, Iggy Pop”. Il loro modo di interpretare il rock infatti fu un’onda che travolse il mondo della musica underground e svolse un ruolo fondamentale per indicare la strada verso un nuovo suono e una nuova visione della musica stessa. Una strada che trovò la sua piena espressione nei Ramones, coloro che inventarono il punk con la “loro personale crociata contro la musica rock del tempo, diventata pretenziosa, pomposa, completamente antitetica alle proprie origini”.
Nel libro di Bacciocchi la storia del punk viene ovviamente raccontata attraverso le vicende dei nomi più noti del genere, come Sex Pistols e Clash, ma è molto interessante come l’autore dedichi anche molte pagine a gruppi e generi che non sempre trovano spazio nei libri simili. Attento ed esauriente è, ad esempio, il capitolo “Dagli Skiantos al punk italiano”, con una panoramica di come questo genere musicale attecchì in Italia dando vita ad alcuni gruppi che tuttora possono essere definiti degni rappresentanti del punk.
Altri capitoli degni di nota sono quelli che ripercorrono la storia e l’evoluzione dell’hardcore, nelle sue diverse sfaccettature, da quello dei Black Flag fino ai nostrani Indigesti e Negazione, solo per citare i nomi forse più noti. Bacciocchi non dimentica poi di raccontare quelli che potremmo definire parenti del punk in senso stretto, come i Jam di Paul Weller e il mod(ern) world o la scena Oi! che troppo spesso è stata vittima di incomprensioni e fraintendimenti.
Come già nei suoi lavori precedenti, Bacciocchi dimostra di essere uno dei giornalisti musicali più preparati e soprattutto di essere in grado di raccontare le vicissitudini dei gruppi con uno stile decisamente intrigante e coinvolgente, capace di fornire tutte le informazioni necessarie per orientarsi e farsi una cultura musicale. La discografia consigliata alla fine di ogni capitolo, per quanto necessariamente sintetica, può inoltre essere un ottimo inizio per chi non conoscesse a fondo la storia del punk.
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