Recensione del libro “Le leggende della Boxe” di Fausto Narducci
28 Dicembre 2022

Recensione di A.C., Professore di lingua e letteratura Italiana e Latina, giornalista e appassionato di sport.

È un’arte antica, la boxe, o pugilato che dir si voglia.  Ce ne parlano già Omero nel libro XXIII dell’Iliade e, dopo di lui, Virgilio nel libro V dell’Eneide. Per i Greci era la pygmachìa; per i Romani il pugilatus. Questa antica arte sportiva e i suoi campioni sono stati celebrati da pittori e scultori. Nell’ultimo secolo se ne è interessato il cinema, con opere spesso di grandissimo livello. Ne hanno scritto moltissimi autori, anche veri maestri della letteratura, persino dei Premi Nobel, come il belga Maurice Maeterlinck, gli americani Ernest Hemingway e William Faulkner, l’irlandese George Bernard Shaw.

Si sente dire oggi, da molte parti, che la boxe è in crisi, che non ci sono più i campioni di un tempo; eppure essa continua a destare interesse tra il pubblico e, a parte i servizi giornalistici, i libri sulla boxe e sui suoi campioni sono tutt’altro che una rarità.

Alla lunga lista di opere sulla noble art, come molti la chiamano, se ne aggiunge ora un’altra: «LE LEGGENDE DELLA BOXE», edita da Diarkos. Ne è autore FAUSTO NARDUCCI, un giornalista della Gazzetta dello Sport che alla boxe ha dedicato quarant’anni di carriera professionale, dopo essersene appassionato seguendo gli esordi di Patrizio Oliva nella palestra Fulgor di Napoli; ha poi seguito e conosciuto personalmente molti campioni e su di loro ha già pubblicato diversi libri, prima su Muhammad Ali, poi su Mike Tyson («The baddest man on the Planet» già presentato in questa rubrica).

Nella sua nuova opera, Fausto Narducci passa in rassegna quelle che, secondo lui, sono state «LE LEGGENDE DELLA BOXE». Sono 36 in tutto: 25 «leggende straniere», 10 «leggende italiane» e, in apertura, «la leggenda delle leggende», ossia Muhammad Ali, alla cui grandezza l’autore dedica uno spazio particolare.

Sono 36 mini-biografie (in media, poco più di una decina di pagine ciascuna), che iniziano tutte con uno specchietto in cui sono riassunte le informazioni di base sul campione: luogo e data di nascita (ovviamente anche di morte per chi non c’è più), nome registrato all’anagrafe, che non sempre coincide con quello sportivo, titoli conseguiti. Poi il racconto si snoda ricco di particolari sulla vita umana oltre che sportiva dei singoli campioni.

Non è dunque, quello di Narducci, un libro destinato esclusivamente ai cultori della boxe. Può destare l’interesse di chiunque voglia conoscere, dietro i risultati sportivi, le vicende personali dei campioni «dentro e fuori il ring», come recita opportunamente il sottotitolo.

Narducci dedica particolare attenzione alle «origini» dei suoi personaggi, li inserisce nel loro contesto sociale e storico, e li segue anche dopo che hanno abbandonato il ring: qualcuno è riuscito a crearsi una seconda parte di vita positiva, altri sono finiti sul lastrico, qualcuno ha conosciuto il carcere, altri ancora hanno avuto una fine tragica.

L’apertura del libro, come già detto, è dedicata a MUHAMMAD ALI. «Come lui nessuno», sintetizza subito Narducci. E spiega: «Muhammad Ali è sinonimo di mito, la prova tangibile che alcuni uomini non trascorrono l’esistenza terrena invano». Il più grande di tutti, insomma. Grande sul ring, grande nel rifiuto di arruolarsi per la guerra in Vietnam, grande per la dignità con cui ha vissuto la malattia negli ultimi anni di vita, grande come «ambasciatore di pace e comprensione fra le varie ideologie non solo religiose».

Dopo il preludio riservato ad Ali, la «parte seconda» del libro, dedicata alle leggende straniere, inizia con quattro campioni diversi tra di loro, ma tutti grandissimi. Leggende, appunto.

JACK JOHNSON, «il nero che batteva i bianchi», «il primo afroamericano campione mondiale dei massimi» e per questo fatto oggetto di attacchi violenti non solo da parte del Ku Klux Klan e di tanti razzisti ignoranti, ma anche da parte di uno scrittore celebrato come Jack London.

JACK DEMPSEY, il bianco capace di rompere il predominio dei neri tra i pesi massimi, «il primo divo del ring», passato «da povero girovago a pugile di successo».

HENRY ARMSTRONG, forse «il campione più completo», l’unico in grado di detenere contemporaneamente il titolo mondiale in tre categorie: pesi piuma, leggeri e welter. Dopo i successi sul ring, si ritrovò sul lastrico e sperimentò la galera, prima di ricostruire la sua vita come predicatore e direttore di «un centro di recupero dei ragazzi poveri di Saint Louis».

JOE LOUIS, che alcuni critici ritengono addirittura superiore ad Ali. Il «bombardiere record» che detiene «la più lunga serie di vittorie iridate consecutive e la striscia temporale ininterrotta più duratura». È stato «il primo afroamericano – non solo nello sport – a conquistare lo status di eroe nazionale americano». Un grande personaggio, osannato dal pubblico, che però finì per autodistruggersi: «rovinato dalla droga e dai debiti», e dalle troppe «licenze» che si era concesse.

La serie dei campioni stranieri, che non possiamo elencare uno per uno, anche se lo meriterebbero, si conclude con il messicano Saúl CANELO Álvarez, capace di conquistare, e mantenere a lungo, la corona mondiale in diverse categorie: superwelter, medi, supermedi e mediomassimi; un campione che, precisa Narducci, ben rappresenta «questa era pugilistica comandata dai soldi e dai ricavi televisivi».

La parte dedicata alle «leggende italiane» si apre, vorremmo dire inevitabilmente, con PRIMO CARNERA, «la montagna che cammina», capace di imporsi prima in Francia e poi in America, sino a raggiungere il primo titolo mondiale della box italiana e, per questo, a diventare «il più grande mito del pugilato italiano». Certo, la sua vittoria fu sfruttata politicamente dal regime fascista, e forse anche per questo, oltre che per presunti aiuti da parte della mafia italoamericana, non entrò mai nelle grazie della stampa statunitense. Ma, precisa Narducci, «Carnera non era un burattino manovrato dall’alto: aveva classe e qualità tecniche che sarebbero emerse anche senza aiuti».

Dopo Carnera, DUILIO LOI, «il più grande ragionatore italiano del ring». Quindi un quartetto costituito dai pugili italiani che, dopo l’oro olimpico, sono arrivati alla corona mondiale.

NINO BENVENUTI, «sicuramente il più grande pugile italiano della storia per la popolarità e il prestigio dei titoli conquistati». PATRIZIO OLIVA, lo «Sparviero di Poggioreale» che «prima che con i pugni, combatteva col cervello». MAURIZIO STECCA, il campione di Romagna capace di vincere sul ring ma anche si affrontare con coraggio una grave malattia che l’ha colpito dopo che aveva abbandonato l’attività pugilistica. GIOVANNI PARISI, «l’ultimo grande talento del pugilato italiano; l’ultimo vero picchiatore della nostra box (e probabilmente il più grande)». Un «duro dal cuore d’oro», la cui vita è stata tragicamente stroncata da un incidente stradale quando non aveva ancora 42 anni.

Le altre «leggende italiane» raccontate da Fausto Narducci sono SANDRO MAZZINGHI, «il re degli arrabbiati» e grande rivale di Benvenuti, BRUNO ARCARI, «il più vincente, anche se non ha raggiunto la stessa popolarità di altri nostri campioni», GIANFRANCO ROSI, «il guerriero dei record», FRANCESCO DAMIANI, argento olimpico a Los Angeles 84, poi campione mondiale dei massimi e ora, con Patrizio Oliva, chiamato a preparare la riscossa del pugilato italiano in vista delle Olimpiadi di Parigi 2024.

Qui termina la rassegna di Fausto Narducci. Ma le «leggende» non finiscono qui. «Ci sono tante assenze – scrive Narducci – che giustificherebbero una seconda puntata della serie». Più che una giustificazione per le esclusioni operate, è un promessa per il futuro. Lo prendiamo in parola.

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