Intervista: Gli Inzaghi. Fratelli Nel Pallone - Bibliocalcio
28 Febbraio 2024

La vita e la carriera di Filippo e Simone Inzaghi sono andate avanti mantenendo intatto il forte legame tra i due fratelli, affrontando le tante sfide con sana competitività e forte orgoglio, diventando due grandi protagonisti del passato recente in campo e dell’attualità in panchina. Proprio questo connubio è indagato con grande attenzione e gusto per il particolare da Francesco Pietrella, il quale parte dalla gioventù spesa nei campetti di San Nicolò per arrivare ai grandi apici dei due fratelli, non mancando di evidenziare i tratti salienti e le scelte alla base di due carriere calcistiche ancora in pieno svolgimento. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Come nasce il progetto di raccontare nel dettaglio la carriera dei fratelli Inzaghi? Quanto ha inciso il forte legame tra i due per farti realizzare un unico libro?

Filippo Inzaghi è stato il mio ‘idolo’ calcistico. Il motivo che mi spingeva a giocare a pallone in giardino o con gli amici, mentre a Simone mi legano anni spensierati e irripetibili sul piano professionale. Dal 2016 al 2022 ho raccontato la Lazio – e non solo – sul sito di Gianluca Di Marzio e ho avuto la fortuna di vivere i suoi inizi da allenatore seguendolo in tutti i ritiri, allo stadio e in qualche trasferta come Siviglia o Kiev. È stata la Lazio migliore dai tempi di Eriksson e credo che una squadra cosi non ci sarà mai più, almeno per come l’ho vissuta io. L’idea è partita da una foto in cui mi sono imbattuto, ovvero Simone e Filippo sul prato dell’olimpico di Atene nel 2007. Il giorno della doppietta di Pippo al Liverpool. Erano anni in cui Simone faceva fatica a giocare per via di problemi alla schiena e infortuni, mentre Filippo aveva appena schiantato i Reds. Alla fine la storia ha concesso a Simone un’altra chance come allenatore, portandolo a giocarsi una finale a testa alta a Istanbul.

Quanto è stata importante la gavetta fatta nelle serie minori per la loro formazione tecnica e personale come attaccanti?

Fondamentale. Pippo ha sempre ricordato la sua ‘ossessione’ per la Serie C. Conosceva a memoria tutti i giocatori fin dai tempi della Primavera e degli Allievi. Idem Simone. Fondamentale in tal senso è stato l’apporto di Gianfranco Luporini, ex allenatore di Simone nelle giovanili nel Piacenza.

L’aver invece iniziato la carriera di allenatori dalle giovanili è stato particolarmente formante, soprattutto a livello di gestione delle diverse personalità di una rosa di giocatori?

Anche qui, fondamentale. Soprattutto per Simone. Parlando di Lazio, ha guidato è formato lo storico gruppo dei 95 e dei 96, forse tra i più forti della primavera. Nel 2014, appena arrivato, ha vinto la Coppa Italia Primavera dopo 35 anni dall’ultima volta. E poi è riuscito a vincerne un’altra contro la Roma all’Olimpico. Alcuni dei ragazzi che ha allenato se li è portati in prima squadra: penso a Simone Palombi e soprattutto ad Alessandro Murgia, che gli ha regalato la Supercoppa del 2017 con un gol all’ultimo minuto. Riguardo Filippo, si può dire lo stesso: nel 2014 ha vinto il Torneo di Viareggio e ha fatto molto bene anche negli Allievi. Uno dei suoi pupilli è stato Davide Calabria, che all’inizio faceva il centrocampista. Lui l’ha fatto diventare un terzino.

A tuo parere i due hanno qualche rimpianto in relazione alla loro carriera calcistica?

Filippo credo di no. In nazionale ha segnato 25 gol, senza gli infortuni patiti durante le annate che vanno dal 2004 al 2005 ne avrebbe segnato molti di più. Su Simone, invece, discorso diverso. Avrebbe potuto avere una carriera migliore. I problemi alla schiena lo hanno condizionato molto. Dal 2004 al 2010 ha avuto poca continuità. In alcune interviste ha svelato anche particolari interessanti, come ad esempio quello di aver sofferto una leggerissima forma di depressione per questo motivo.

Che ruolo hanno avuto le critiche ed i luoghi comuni nello sviluppo della loro affermazione come attaccanti? Credi che certe loro peculiarità siano state sottostimate?

Simone in un certo senso è sempre stato ‘il fratello di’. Ma non l’ha mai condizionato. La loro stima reciproca e l’amore tra fratelli sono sempre stati il motore delle loro carriere. E lo sono tutt’ora. Riguardo Simone, si può dire che da un punto di vista tecnico forse è stato anche migliore di Pippo, ma a sua volta aveva la sua ossessione per il gol. E in generale per il calcio.

L’affermazione “più grande Pippo di Simone come giocatore, più grande Simone di Pippo come allenatore” rientra nei suddetti luoghi comune o ha una base concreta?

Per ora la carriera sta dicendo questo, ed è uno dei motivi che mi ha spinto a scrivere il libro. È come se il destino stesse riequilibrando le cose: Pippo da calciatore ha vinto qualsiasi cosa, mente a Simone qualcosa è mancata. Ora la storia dice altro: Filippo fa più fatica, a parte le straordinarie annate con il Venezia e la promozione con il Benevento. Vediamo tra 10 anni dove e come saranno. Io credo che Simone sia destinato ad allenare la nazionale.

Hanno giocato insieme solamente una manciata di minuti in nazionale, è stato giusto così, data la concorrenza nel ruolo o avrebbero meritato maggior spazio insieme con la maglia azzurra?

Se Simone non avesse avuto problemi fisici avrebbe collezionato qualche presenza in più, ma erano anni in cui in attacco c’erano molti nomi. Secondo me avrebbe meritato la convocazione a Euro 2000 da campione d’Italia e capocannoniere dell’annata della Lazio con 19 gol. Erano in ballottaggio lui e Montella, ma alla fine Zoff scelse l’aeroplanino.

Come allenatori riesci a trovare dei lati comuni o delle caratteristiche collegabili, al netto dei risultati e delle squadre allenate?

Sono ossessionati dal calcio. Parlano e discutono di questo tutto il giorno. Vivono questo sport a 360 gradi. Questo è quello che hanno in comune.

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