Recensione del libro “I geni degli scacchi” di Adolfo Mollichelli - Pagine di sport
11 Marzo 2024

Recensione di A.C., Professore di Lingue e Letteratura Italiana e Latina, giornalista e appassionato di sport

Può sembrare strana, in questa rubrica dedicata a libri sullo sport, la presenza di un libro sugli scacchi. Perché, nella mentalità comune, gli scacchi non sono uno sport nel significato che solitamente si attribuisce a questo termine. Invece, a loro modo, gli scacchi sono anche uno sport, con una serie infinita di campionati, da quelli locali a quello mondiale, e persino le Olimpiadi. E, come tutti gli sport, richiedono resistenza fisica, forza psicologica, estrema concentrazione mentale, grande creatività. In un certo senso, gli scacchi sono molto più di uno sport; sono arte, scienza,intuizione, fantasia. E comunque sono un gioco, anzi, come disse giustamente lo scrittore austriaco Stefan Zweig, «gli scacchi sono l’unico gioco che appartenga a tutti i popoli e a tutti i tempi e di cui nessuno sa quale Iddio l’abbia portato sulla terra per ammazzare la noia, acuire i sensi, avvincere l’anima».

Partendo da questa affermazione di Zweig, riportata in apertura come chiave di lettura, al gioco degli scacchi e ai suoi interpreti maggiori Adolfo Mollichelli, giornalista di lungo corso e appassionato scacchista, dedica la sua ultima opera, edita da Diarkos: «I GENI DEGLI SCACCHI», con sottotitolo «Storie, follie e stravaganze dei grandi maestri».

Il nucleo centrale dell’opera è costituito da ventidue brevi biografie di grandi campioni, anzi «geni» degli scacchi. Sono disposti in sequenza cronologica, per data di nascita e per successione nella conquista del titolo di campione del mondo. La serie inizia con il francese Danican Philidor (1726-1795) e termina con l’italiana Clarice Benini (1905-1976). In mezzo ci sono tutti i grandi campioni. La maggior parte sono russi o sovietici, includendo tra i sovietici anche i campioni nati in Paesi oggi indipendenti, ma che appartenevano all’URSS al momento della loro nascita. Non stupisce questa prevalenza di russi e sovietici, se si pensa alla lunga tradizione che gli scacchi hanno sempre avuto in quel Paese, sino ai nostri giorni. Due «geni» sono americani, gli altri provengono da Paesi diversi. Due le donne: l’ungherese Judit Polgár e la già nominata Clarice Benini di Firenze. Oltre a lei, ci sarebbe anche un altro italiano nell’elenco: Fabiano Luigi Caruana, nato a Miami da genitori italiani, che per dieci anni ha rappresentato l’Italia, ma poi ha optato per i colori statunitensi.

Di tutti questi «geni», Mollichelli traccia un profilo scacchistico e, soprattutto, umano. Il suo, non è un libro tecnico, insomma. Per ogni «genio» vengono riportate, in un apposito riquadro, le mosse di una partita particolarmente significativa, ma quello che emerge dal piacevole racconto di Mollichelli sono gli aspetti umani, la personalità, il contesto in cui il genio degli scacchi è vissuto, le difficoltà incontrate, in alcuni casi persino i vizi che ne hanno condizionato la carriera. Qualcuno di loro univa a quella degli scacchi altre passioni: Philidor era musicista; Vasilij Smyslov un ottimo musicista e cantante; Morphy avvocato; Max Euwe insegnò matematica; Garry Kasparov praticò diversi sport e correva i 100 metri in 12 secondi; Mikhail Botvinnik si dedicò allo sviluppo di software, tanto per citare alcuni esempi. Quanto alla vita privata, ci sono nell’elenco donnaioli impenitenti, su tutti il cubano José Raúl Capablanca, mentre il tedesco Emanuel Lasker, amico di Albert Einstein, si presentava nei saloni dei tornei accompagnato dalla moglie, il suo portafortuna. Qualcuno è vissuto discretamente grazie agli scacchi, qualche altro ha concluso i suoi giorni in miseria. 

Grande spazio, direi ovviamente, viene dato nel libro alla sfida tra il sovietico Boris Spassky e l’americano Bobby Fischer nel 1972. Erano gli anni della Guerra Fredda, della contrapposizione continua tra USA e URSS. La sfida, giocata proprio per questi motivi in «campo neutro», a Reykjavík, assunse una forte valenza politica e la vittoria di Fischer fu salutata come un successo della democrazia americana contro il totalitarismo sovietico. Peccato che pochi anni dopo, nel 1992, per aver giocato la rivincita con Spassky in Serbia, gli USA accusarono Fischer di aver violato l’embargo ONU e di fatto lo costrinsero ad abbandonare per sempre il suo Paese; si rifugiò in Islanda dove è morto e dove è sepolto il suo corpo.

Oltre al caso Fischer, anche di altri «geni» Mollichelli esamina i rapporti politici con il loro Paese. Si sofferma soprattutto sull’impegno di Garry Kasparov per l’indipendenza del suo Azerbaigian e, quindi, contro Putin e il suo regime che egli giudica profondamente corrotto. Deciso difensore di Putin è stato ed è, invece, Anatolij Karpov, membro della Duma, che ha sostento con forza l’annessione della Crimea nel 2014, tanto da essere stato sottoposto a sanzioni da parte dell’UE e del Regno Unito. 

Tanti personaggi, insomma, tante storie, tutte raccontate in bello stile, con una scorrevolezza che invita a leggere. Prima e dopo le ventidue biografie, Adolfo Mollichelli parla della storia degli scacchi, del loro sviluppo in Russia e anche in Italia, ricordando, tra l’altro, che anche il sommo Dante conosceva e praticava questo nobilissimo «gioco». 

Arricchisce il volume numerose citazioni dei giudizi sul gioco degli scacchi espressi da grandi personaggi: da Blaise Pascal a Voltaire, da Goethe a Freud, da Nabokov a Oscar Wilde, sino a Gianluca Vialli, per citarne qualcuno. Mi sembra opportuno concludere con la definizione che diede degli scacchi il russo Mikhail Botvinnik nella sua lectio magistralis quando l’Università di Ferrara gli conferì la laurea honoris causa: «Il gioco degli scacchi è l’arte che esprime la scienza della logica; il più grande piacere dell’uomo consiste nell’accorgersi di stare pensando e gli scacchi sono uno dei modi migliori per pensare». Non solo un gioco, insomma, ma molto di più.

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