ARTHUR SCHOPENHAUER – L’ARTE COME LIBERAZIONE PROVVISORIA
12 Dicembre 2022

Estratto da Vladimiro Giacché, Filosofia dell’Ottocento. Dall’Idealismo al Positivismo, Diarkos, Rimini 2022.

 

2. Le forme di liberazione dalla volontà

 

Le idee come oggettivazione immediata della volontà

In base ai due primi libri del Mondo come volontà e rappresentazione, il mondo della nostra esperienza quotidiana non è che rappresentazione; il mondo nella sua realtà e verità, quale può esserci rivelata dalla filosofia, è volontà. Da un lato abbiamo dunque una molteplicità di oggetti ed esseri mutevoli e transeunti, dall’altro l’unica volontà (fuori del tempo e dello spazio, al di là di ogni possibile molteplicità) che si oggettiva in tutti gli oggetti e gli esseri. Queste sono, secondo Schopenhauer, «le due facce» del mondo reale.

A questo punto sorge però un problema: come è possibile che un’unica volontà costituisca l’essenza tanto dei più semplici processi inorganici quanto dell’uomo? Schopenhauer tenta di risolvere il problema facendo riferimento a diversi «gradi di oggettivazione» della volontà. Questi diversi gradi non sono però costituiti dai singoli oggetti ed individui che cadono sotto la nostra vista e di cui ci parlano le scienze: tali oggetti, infatti, in termini filosofici non sono che «apparenza», «rappresentazione».

Occorre allora pensare a una sorta di entità intermedie tra la volontà e i singoli enti, ossia ad archetipi delle cose: a differenza della volontà, queste entità sono molteplici; tali archetipi vanno però anche distinti dalle singole cose in quanto essi «non rientrano nel tempo e nello spazio, ma restano sempre fissi, invariabili». Questi archetipi o prototipi delle cose corrispondono secondo Schopenhauer alle idee di cui parlava Platone. Per Schopenhauer nelle idee la volontà si oggettiva immediatamente, mentre negli oggetti e nei rapporti che costituiscono il mondo della rappresentazione la volontà si traduce in maniera mediata.

 

2.1 L’arte come contemplazione delle idee

 

La contemplazione estetica: oltre la separazione di soggetto e oggetto

Come si possono conoscere le idee? La conoscenza intellettuale e razionale, asservita com’è alla volontà, non conosce – l’abbiamo visto – che relazioni tra oggetti, inserisce gli oggetti nello spazio, nel tempo, e li lega tra loro in rapporti causali, giungendo al massimo a “concetti” (ossia a pure e semplici classificazioni generali delle cose); dunque essa non può raggiungere le idee. Ora, secondo Schopenhauer l’unico modo per conseguire la conoscenza delle idee consiste nella «soppressione dell’individualità del soggetto conoscente». Ma ciò può avvenire soltanto se il soggetto «riempie tutta la sua coscienza della contemplazione tranquilla di qualche oggetto naturale presente, o di qualsiasi altra cosa, e si perde completamente in quest’oggetto»: allora, e solo allora, egli «dimentica il suo individuo, la sua volontà, e non sussiste più se non come soggetto puro, come limpido specchio dell’oggetto». In questi casi il soggetto si identifica con l’oggetto; il tendere proprio della volontà si placa momentaneamente, e l’individuo raggiunge una condizione che è «al di là del dolore, al di là della volontà, al di là del tempo». Questo vero e proprio «miracolo» è opera dell’arteun qualsiasi oggetto, che «nel vortice della corrente non figurava se non come una particella fuggitiva evanescente», diviene per l’arte «il rappresentante del tutto», diventa «idea».

 

Il genio

L’esperienza estetica (sia nella contemplazione della natura che dell’opera d’arte in senso stretto) ci offre così una conoscenza più elevata di quella semplicemente razionale e astratta. Inoltre, nella contemplazione, il soggetto si astrae dalla sua costitutiva natura di essere desiderante, sottraendosi al dominio della volontà e perdendosi nell’oggetto. Tale esperienza è particolarmente frequente nel genio, che possiede una straordinaria capacità di vedere l’universale nel particolare; però questa «facoltà di riconoscere le idee nelle cose, e di elevarsi momentaneamente al di sopra della propria personalità», è un «patrimonio comune a tutti gli uomini».

 

Il bello e il sublime

L’esperienza estetica ha due forme: il «bello» e il «sublime». Nella contemplazione della bellezza «la conoscenza pura trionfa senza lotta», lasciando del tutto da parte la volontà; nel sentimento del sublime, che si produce ad esempio dinanzi allo «spettacolo di una forza incomparabilmente superiore all’uomo, e che minaccia di annientarlo», si ha una invece una sorta di sdoppiamento dell’individuo. Questi da un lato si riconosce impotente di fronte alla violenza degli elementi o all’immensità della natura, dall’altro avverte intimamente la propria unità col mondo, la cui forza immane perciò non lo abbatte, ma lo risolleva.

 

La poesia esprime l’idea dell’uomo

In coerenza con la propria teoria, Schopenhauer ordina le diverse arti secondo una scala ascendente che ha per suoi estremi l’architettura e la poesia. La prima ci comunica i gradi più bassi di oggettivazione della volontà (ossia le idee di peso, coesione, rigidità, durezza). La poesia, invece, ha come fine la «rappresentazione dell’idea di umanità»; è in particolare la tragedia, che rappresenta il culmine della poesia, a presentarci nel grado più alto la lotta della volontà con se stessa quale si svolge nel mondo umano.

Questa capacità espressiva fa sì che la poesia sia superiore alla storia. Infatti la storia ha come oggetto il significato esteriore degli eventi e la loro successione, e può offrirci al massimo notizie empiriche sul modo in cui si comportano i nostri simili in determinate circostanze: essa, in altre parole, ci fa conoscere gli uominila poesia, invece, ci presenta «caratteri significativi», e li pone in situazioni esemplari: in tal modo essa ci fa conoscere l’uomo. Ecco perché, secondo Schopenhauer

chi desidera conoscere l’umanità nella sua essenza intima, nella sua idea, sempre identica in tutte le sue manifestazioni e i suoi sviluppi, ne troverà nelle opere degl’immortali grandi poeti un’immagi- ne ben più fedele e più netta che non negli storici.

 

La musica come diretta espressione della volontà

Tra le arti, infine, un ruolo particolare spetta per Schopenhauer alla musica. Essa, infatti, si trova sullo stesso piano delle idee, è una copia della volontà tanto immediata quanto queste. «La musica non è dunque, come le altre arti, una riproduzione delle idee, ma una riproduzione della stessa volontà, una sua oggettivazione allo stesso titolo che le idee». Essa, in altre parole, «celebra l’essenza» del mondo come volontà, è

immagine diretta della volontà in se stessa, e quindi esprime l’elemento metafisico del mondo fisico, l’in sé di ogni fenomeno.

Sarebbe quindi sbagliato, ad esempio, ricercare nella musica la raffigurazione di particolari oggetti o avvenimenti (per questo, secondo Schopenhauer, la musica “imitativa” o “a programma” è «roba da buttar via»). Ciò che fa dell’arte musicale la «panacea di tutti i nostri mali» consiste appunto nel suo «riprodurre tutte le commozioni della nostra intima natura, ma senza la loro tormentosa realtà».

Con la considerazione della musica Schopenhauer completa l’esame delle diverse forme di espressione artistica, traendone una conclusione di carattere generale: l’arte è la «fioritura della vita», è qualcosa che fa dimenticare i dolori dell’esistenza, consentendo all’uomo una breve liberazione dalla volontà. Essa è però, in fondo, una consolazione soltanto provvisoria.

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