“Pasolini nella Città del cinema” di Lino Miccichè - Eurocomunicazione
4 Settembre 2023

Il corpus cinematografico di Pasolini è un insieme di dodici lungometraggiquattro cortometraggi inseriti in film a episodi e sei documentari, oltre a sceneggiature parziali come quella su San Paolo o complete destinate ad altri registi.

La domanda di fondo che si è posto Lino Miccichè, noto critico cinematografico e fondatore della Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro, è stata: perché Pasolininato come poeta e scrittoreha scelto di fare il cinema?. Nel libro “Pasolini nella Città del cinema”, edito Diarkos, Miccichè vuole rispondere a questo interrogativo e ad altri. Un tentativo arduo di analizzare tutta l’opera cinematografica di Pasolini, facendo emergere il valore artistico, la genesi, le contraddizioni e gli intenti del grande intellettuale friulano.

Personaggi e ambientazioni familiari

Il libro è anche un testamento spirituale di Lino Miccichè, ormai scomparso da diversi anni, nei confronti di Pasolini e di Visconti a cui ha dedicato un altro saggio. E del poeta-regista ama più i cortometraggi, per la libertà di linguaggio e in particolare “La ricotta”. L’analisi dell’opera pasoliniana è svolta anche da un punto di vista didattico, quando Miccichè, docente di storia del cinema all’università di Siena, analizzando fotogramma per fotogramma l’opera pasoliniana, rendeva i personaggi e ambientazioni familiari.

Pesaro fu sede di un convegno storico e Pasolini in quella occasione espose il significato del “cinema di poesia”. Fu delicato nell’esporre il suo pensiero; una delicatezza che aveva nel suo tratto umano e nei confronti del prossimo. Una purezza d’animo che pervase tutta la sua opera anche nei periodi più bui. Le contraddizioni di uno scrittore di sinistra come lui: l’opinione sull’aborto o sugli scontri di Valle Giulia, evidenziano una complessità nel suo pensiero.

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Ma la purezza d’animo di Pasolini proviene dal dolore per la scomparsa prematura del fratello. Tutto ciò ha provocato sensi di colpa che il poeta-regista è riuscito a contenere solo attraverso il candore delle sue opere. Vita e morte come un viaggio metaforico, che nel film si traduce nel montaggio, costituito da frammenti infinitesimali, di tanti piani-sequenza come possibili soggettive infinite, quello che la morte opera sulla vita. Dunque una purezza umana colpita dalla voracità del capitalismo e la ricerca nel suo Friuli, le borgate e la miseria in India.